Ombre di luce
di Enrico Arlandini
La temperatura era notevolmente calata negli ultimi giorni
e le condizioni atmosferiche dissuadevano meravigliosamente
dall’idea di uscire di casa.
Purtroppo i suoi impegni, pressanti come al solito, non potevano
incontrare ostacoli di sorta.
Un’occhiata all’orologio per rendersi conto che mezz’ora piu’ tardi
avrebbe dovuto presenziare alla riunione con l’editore e gli sponsor,
nell’imminenza della pubblicazione del suo ultimo libro.
Interrompendo per un attimo il corso dei pensieri, Stefano avvertì
chiaramente, tramite il silenzio che avvolgeva la casa, l’assenza
di moglie e figlio.
Considerato che durante le festività natalizie sarebbero partiti
per una lunga crociera, Francesca aveva deciso di anticipare la visita
ai genitori, rimanendo alquanto scocciata di fronte all’ennesima
defezione del marito.
Mentre si districava al volante in mezzo al traffico, Stefano rifletté
sul contratto stipulato circa sei mesi prima con quel marchio di prestigio
internazionale, il quale, dopo una corte serrata, lo aveva strappato a suon di
quattrini al precedente editore, con il quale era legato da una profonda amicizia.
D’altronde, di fronte a certe proposte, i sentimenti dovevano essere tenuti
in secondo piano.
Il cambio di rotta gli aveva imposto romanzi meno impegnati,
sufficientemente scorrevoli da poter essere ingurgitati tra una brioche
al bar e la pausa pranzo.
Come solevano ripetergli i suoi colleghi, la maggior parte degli
italiani ormai considerava i libri un modo come un altro per
distrarsi e ingannare il tempo durante le attese quotidiane.
Quel giorno Stefano avrebbe dovuto riassumere a grandi linee la trama
della sua ultima fatica letteraria, e concordare con la direzione editoriale
le successive iniziative promozionali.
Tutto questo non lo turbava particolarmente; fin da adolescente la sua
segreta aspirazione poteva intendersi quella che adesso si chiamava realtà.
Il ritorno a casa fu accompagnato da un gran mal di testa e lo stomaco in
subbuglio, entrambi postumi dei bagordi notturni, consumati per festeggiare
l’ennesimo imminente successo, a giudicare dalle prevendite.
Per prima cosa telefonò a Francesca, trovandola stranamente di buon umore.
Evidentemente aveva superato il precedente stato di tensione e nervosismo.
In sottofondo si udivano gli strilli di Giacomo, acuti e cristallini come può
essere l’anima di un bambino di cinque anni.
Sebbene avvertisse la loro mancanza, Stefano apprezzava al contempo
quel breve periodo di forzata solitudine, dove la sola compagnia era quella
dei suoi pensieri.
Con una lieve pressione accese il portatile, sorridendo nell’udire il prolungato
ronzio emesso dall’apparecchio.
I suoi conoscenti non avevano lesinato commenti sarcastici sul fatto che l’aumento
cospicuo del suo conto in banca non fosse coinciso con l’acquisto di un computer
più all’avanguardia.
Stefano era particolarmente affezionato a quell’oggetto, che per anni aveva
custodito fedelmente la materia dei suoi sogni.
Sopra quei tasti aveva riversato il sudore di intere nottate trascorse
chino sulla scrivania, a digitare e poi cancellare, innumerevoli volte, fino
alla perfetta stesura del testo.
Questo era accaduto per i primi libri; in seguito il suo amico speciale
lo aveva sostituito egregiamente, in maniera puntuale e discreta.
Stefano accompagnò il pensiero con un sorriso amaro, soppesando
mentalmente l’innominabile segreto.
Un avviso sonoro lo avvertì dell’arrivo di un nuovo messaggio.
La casella era quasi piena, intasata dai contatti dei suoi lettori,
divisi tra chi commentava entusiasticamente le opere precedenti,
non mancando di ripetere quanto assomigliassero alle proprie esperienze
personali, e quelli che lo supplicavano di concedere una piccola anticipazione
sull’ imminente uscita.
Li immaginava gongolanti all’idea di potersi vantare in giro del rapporto
di amicizia instaurato con lui, snocciolando le primizie con studiata
lentezza, lasciando gli ascoltatori a bocca aperta.
In passato Stefano si era divertito a prendersi gioco di questi assillanti
personaggi, proponendo loro false tracce o addirittura brani di famosi
autori del passato.
Recentemente aveva perso la spensieratezza che lo contraddistingueva,
sostituita da un perenne senso di indefinita preoccupazione, del quale
Francesca pareva non essersi accorta.
Anche la sua vita era cambiata: i giorni da studentessa e lavoratrice
precaria apparivano uno sbiadito ricordo, dispersi tra le pareti del
lussuoso appartamento circondato da un parco ben più vasto di quelli
dei loro pic-nic giovanili.
Quando si era recisa la profonda alchimia che le permetteva di intuire
i suoi stati d’animo con un solo sguardo?
Stefano non riusciva a farle una colpa per quella perdita di sensibilità,
poiché il principale imputato in fatto di manchevolezze era sicuramente lui.
Prese in mano la bozza della copertina, appena ritirata dallo studio grafico.
Vi era raffigurato un uomo lanciato nel vuoto, senza paracadute,
prossimo ad atterrare in una tazza colma di latte e biscotti.
Il libro infatti trattava la movimentata esistenza di due genitori
separati, alle prese con piccole e grandi scaramucce sull’affidamento
dei figli, strattonati da una parte all’altra come trofei da contendersi.
Il lieto fine era garantito, dopo una serie di problemi e inconvenienti
trattati con caustica ironia, in modo da alleggerirne la drammaticità.
Anche chi non aveva mai letto un suo libro, difficilmente avrebbe
resistito all’uragano mediatico che sarebbe stato scatenato a breve.
I primi tempi Stefano provava soddisfazione nell’essere fermato
per strada dai cacciatori di autografi, nel dividersi ogni giorno tra
un salotto televisivo ed un evento mondano.
Ultimamente la pressione aveva invece raggiunto livelli di
guardia, diventando a tratti insostenibile.
Non di rado egli usciva di casa pesantemente camuffato, per non essere
riconosciuto e godersi qualche ora di svago con la propria famiglia,
senza subire l’assalto di ammiratori petulanti.
Per fortuna la zona residenziale nella quale di recente si erano trasferiti
rappresentava un’oasi di tranquillità.
I vicini si limitavano a sorridere e ammiccare al suo passaggio, salutandolo
con deferenza.
Il portiere del caseggiato, appassionato di letture, era tra i primi
fortunati a ricevere una copia di ogni suo libro, dimostrandosi
critico puntuale e sagace.
Stefano, sornione, lo esortava a cimentarsi nella scrittura,
pronosticandogli un successo ancora maggiore del proprio.
Quell’ultimo pensiero lo ricondusse al motivo che lo vedeva
seduto alla solita scrivania, alle prese con il consueto rito.
Prima uno sguardo alla fotografia incorniciata di Francesca e Giacomo,
entrambi sorridenti alle prime luci della sera.
Quindi un sorso di scotch, nel bicchiere che suo figlio aveva decorato
appositamente per lui.
Stefano non aveva mai voluto abbandonare quella buffa ripetizione
di gesti superstiziosi, in quanto gli pareva lo aiutassero nella vena
creativa.
Continuava a farlo, anche adesso che non era più lui a scrivere.
Tutto ebbe inizio una sera di alcuni anni prima, in una camera d’albergo,
durante la preparazione del suo terzo libro.
Dopo aver digitato le prime parole, le dita a mezz’aria in attesa
di un guizzo d’ispirazione, la sua stabilità mentale vacillò di colpo.
Lo schermo infatti aveva incominciato a riempirsi di caratteri
a ritmo vertiginoso.
Stefano perse ben presto il conto della numerazione delle pagine.
Non si trattava di parole inserite a caso, bensì, come ebbe modo di
verificare, della trasposizione spaventosamente perfetta
delle sue intenzioni non ancora ben delineate.
Iniziò ad urlare, in preda ad una crisi di panico, fino a che un barlume
di lucidità gli consigliò di smettere, prima che qualcuno bussasse
alla porta, preoccupato per le sue condizioni.
Convinto di essere diventato pazzo, rimase indeciso tra l’opzione
di richiedere un immediato esorcismo e quella di scolarsi qualcosa di forte.
La scelta non fu difficile. Il computer, osservato attraverso il liquido
contenuto nel bicchiere, appariva in effetti meno inquietante di prima.
Stefano rammentò le ore trascorse al riparo da occhi indiscreti,
per tutti impegnato nella fase creativa, in realtà sdraiato sul letto alla ricerca di
un sonno al quale si abbandonava con sempre maggiore fatica.
La frustrazione nasceva soprattutto dall’incapacità di comprendere la
fonte e le motivazioni di quel meccanismo diabolico che gli aveva
spalancato le porte del successo.
Nonostante tutto Stefano sperava ardentemente che questa volta
l’ingranaggio non si sarebbe messo in moto.
Se ciò avesse significato il brusco declino o addirittura il termine
della sua carriera, la salute psicologica ne avrebbe comunque
largamente giovato.
Le sue preghiere non vennero esaudite.
Stefano, gli occhi arrossati dal pianto, non riusciva a distogliere lo sguardo
dalla parola fine, appena comparsa sul monitor, a corredo delle
centinaia di pagine che componevano il romanzo.
Questa volta però la fine era tutt’altro che vicina.
Lo schermo si oscurò, assumendo nel contempo una forma tridimensionale.
Sembrava espandersi in direzione della stanza, come se qualcosa, dall’interno,
stesse esercitando una forte pressione.
Quella spinta lo tese così tanto da bucarlo.
Dal buco fecero capolino le prime dita.
A Stefano sfuggì una parte di quello spettacolo, per via dello svenimento
da cui venne colto.
Era convinto di sognare quando, rialzatosi a fatica, andò a sbattere nel suo
alter ego di carta.
Milioni di fogli, modellati in maniera stupefacente per riprodurre
ogni centimetro della superficie corporea.
Le fessure nere al posto di occhi e bocca non impedivano a quella
mostruosità di vedere e, soprattutto, parlare.
Nelle orecchie di Stefano echeggiavano le sue esclamazioni concitate,
circa l’essersi stufato di vivere nell’ombra, rinchiuso là dentro, mentre l’uomo
di carne godeva sfacciatamente della celebrità immeritata.
La voce mutava rapidamente, succedendosi nel timbro degli affetti più cari.
La creatura allungò le mani come per aggredirlo quindi si ritrasse,
deviando infine verso la porta finestra.
Il rumore dei vetri infranti costrinse Stefano ad ammettere che non poteva
trattarsi di un’allucinazione, per quanto molto vivida.
Corse ad affacciarsi sul terrazzo, in tempo per scorgere il suo doppio
nella fase finale della caduta, fino allo schianto a terra.
Al posto del sangue una copiosa macchia d’inchiostro si allargò sotto
quella struttura di carta che, inspiegabilmente, non era rimasta
scalfita dal violento urto.
Stefano rientrò in camera alla ricerca disperata di quella boccata d’ossigeno
che l’aria esterna non era in grado di fornirgli.
Sullo schermo del computer apparve d’incanto la copertina del libro.
Al posto della tazza di latte adesso era l’asfalto a rappresentare
il capolinea per quella figura in volo.
Una miriade di colori invase il suo campo visivo prima che
tutto diventasse uniformemente nero.
In strada si era formato un capannello di persone, intorno al corpo
del suicida. In attesa dell’arrivo, per quanto inutile, dell’ambulanza,
ognuno esponeva le proprie congetture sull’accaduto.
Maggiore eco in questo caso era rappresentato dalla notorietà della vittima,
riconosciuta da tutti i testimoni oculari del dramma.
Alcuni scattarono delle foto con il cellulare, noncuranti di quanto fosse
poco appropriato quel gesto, nella speranza di vendere gli scatti ai giornali.
Gli sguardi dei presenti confluirono quindi all’altezza della finestra
frantumata, dietro la quale filtrava la luce fioca di una lampada.
Furono i vigili del fuoco ad entrare per primi, dopo aver sfondato la porta.
Sopra il tavolo dello studio trovarono una bozza rilegata di trecentocinquanta
pagine, senza titolo.
Si trattava dell’opera a cui Stefano aveva dedicato più di un anno della propria vita,
rintuzzando la stanchezza, la sfiducia e i molteplici demoni che abitavano la sua mente.
Talmente potenti da renderlo sempre più fragile e indifeso.
Come una foglia alla mercé del vento.
Come un uomo di carta.
Edited by Mariodm93 - 1/8/2011, 15:23