L'imbottigliatore
di Daniel Crow
È assidua e sferzante l’aria, sul promontorio. Sotto di esso, il mare si abbatte impetuoso, agitato e trasportato da centinaia di destrieri di spuma liberati dall’abisso affinché si schiantino sulla nuda roccia fino a sgretolarla. Le onde lanciano miriadi di spruzzi che labili, vanno ad infrangersi sulla parete ripida della sporgenza sopraelevata per poi, un istante dopo, scomparire spazzati via dalla brezza fredda. A fianco del rilievo costiero si protende una scultura naturale in pietra, ha quattro dita, ma somiglia vagamente a una mano degli dèi protesa verso il mare scuro. Eppure non sono stati gli dèi ad averla costruita: è il vento, che frequente accompagna i detriti delle più minuscole dimensioni ad abbattersi contro la roccia, per l’eternità. Occorrono millenni, prima che madre natura abbia completato la propria opera. E “completato”, in fin dei conti, è una parola che ha poco significato, poiché la natura non smette mai di lavorare sulle proprie opere d’arte.
Lungo la stradina inzaccherata che porta alla sporgenza scoscesa, sale un uomo, intabarrato nel cappotto nero, con crescente difficoltà, mano a mano che si avvicina alla sommità. Affonda il mento nel petto e chiude gli occhi onde evitare l’aria salmastra, che irruente gli artiglia la pelle e la congela. I suoi passi si fanno pesanti, che pare gli scarponi siano stati cementati al suolo, per lo sforzo immane che compie ogni volta che solleva un piede. Ed a ogni passo sente la sua salute affievolirsi: è vecchio e tutto diventa sempre più faticoso per lui. Si ferma pochi istanti, giusto il tempo di riprendere fiato, poi riprende ostinato. Il suo nome è Sanjuki e lì sopra lo attende qualcosa, anche se può solo intuire vagamente che cosa. Non certo la sua salvezza… nemmeno la sua libertà.
Sopra il promontorio c’è una panchina bianca, piena zeppa di piccole cavità: morsi di tarme. Nonostante l’ingordigia di taluni malefici animaletti, rimane ben fissata al terreno, e riesce tutt’ora a svolgere il compito di far sedere su di sé gli uomini (sebbene ultimamente lamentando qualche scricchiolio di troppo) affinché possano contemplare in comodità l’infinita bellezza di quel mare acerbo che spesso, a causa della vastità sconfinata del suo manto, genera inquietudine nei pensieri.
Seduto sulla panchina c’è un altro uomo. Ora dà le spalle a quello che sta ancora salendo. Sotto il giaccone di pelle nera, s’intravede il colletto di una camicia celeste. I suoi capelli brizzolati sono scompigliati dalla raffica continua. Sanjuki sa quanto quell’uomo tenga all’ordine e alla compostezza dei suoi capelli, e sa che vorrebbe fossero sempre perfetti, irremovibili nel momento stesso in cui vengono modellati con il floshh. Walter è sempre stato un fissato dell’eleganza in ogni occasione: una caratteristica del suo carattere che tende a sfociare spesso nella paranoia, se essa non viene compiaciuta. Eppure in quel luogo v’è qualcosa che annulla quell’esigenza estetica, che lo costringe addirittura a far fare un piccolo sacrificio alla sua chioma sempre perfetta in ogni dettaglio. Il paesaggio mozzafiato che da quell’altura si può osservare in tutta la sua magnificenza gli fa superare ogni ostacolo, pur di poterlo contemplare.
Appoggiata su una gamba vi è la consueta valigetta che lo accompagna ogni volta che viene a far visita a Sanjuki. Sul davanti reca un disegno di cerchi concentrici, su ognuno dei quali gira un piccolo cerchio, che in teoria simboleggia un pianeta, o forse un piccolo sistema solare. Quel simbolo è il logo dell’agenzia per cui Walter lavora, e anche Sanjuki lo conosce bene.
L’uomo si avvicina lentamente a Walter, fino ad incontrarlo faccia a faccia.
Strano, pensa Sanjuki, il suo viso non invecchia mai, invece il mio sembra deteriorarsi ogni giorno di più. Forse è per via del tempo, che in un pianeta sotto vetro come quello in cui abito, scorre molto più in fretta che nel normale universo delle persone comuni. «Ti ostini a farci incontrare sempre in questo maledetto punto, eppure tu sai benissimo che ho l’artrite alle ginocchia e non sono più aitante come un tempo? Tua madre non ti ha mai insegnato a portare rispetto per gli anziani?» lo rimprovera Sanjuki.
Walter gli sorride. I suoi denti e i suoi occhi lampeggiano, ridenti. «Scusami Sanjuki, è che sono un sentimentale.»
«Un sentimentale? Non so cosa ci troverai mai di bello in questo pianetucolo schifoso. Puah!» Il vecchio, al termine della frase, sputa impunemente a terra.
«Il solito apatico. Noi ti regaliamo un pianeta bello e perfetto come questo e tu non sai fare altro che lamentartene ogni volta che vengo a trovarti. Sai cos’è il sentimento del sublime? »
«No» ammette Sanjuki senza vergogna.
«Vari cervelloni hanno tentato di darne una definizione personale. Ma quello che riesce ad essere più breve e coinciso è Schopenhauer, un filosofo nato nel pianeta Terra circa settemila anni or sono. Secondo lui il sentimento del sublime è il piacere che si prova osservando la potenza o la vastità di un oggetto che potrebbe distruggere chi lo osserva. Parole migliori non avrei trovato per descrivere lo spettacolo naturale qui davanti ai miei occhi.»
«È perché non lo vedi tutti i giorni come faccio io. Sennò ora ti verrebbe il disgusto al solo pensiero d’udire il suono di un’altra onda infrangersi.»
«Certo… dopo tutto il tempo che ti conosco, e ancora mi ostino a parlare con te di queste cose!»
«Vai dritto al punto, Walter, o come farei bene a chiamarti: imbottigliatore dei miei stivali! »
«Non chiamarmi imbottigliatore, vecchio! Sono un funzionario governativo, non un ambulante da quattro soldi!» Il suo tono di voce cerca di celare inutilmente una certa irritazione.
«Vecchio… E pensare che un tempo, quando mi imprigionarono qui, avevo più o meno la tua stessa età.»
Walter scrolla le spalle mentre gli risponde «uno degli svantaggi di vivere in una palla di neve. A me sinceramente non dispiace affatto l’idea.»
«Certo che no, come è ovvio che sia. Ti conosco, io: vorresti veder morire in fretta tutti i criminali che hai sbattuto in gattabuia.»
«Può darsi che sia come dici tu. Ma questa è una soluzione rapida ed efficiente. Non viola i diritti inalienabili dell’uomo descritti nella Nuova Costituzione di Salensya, e non è brutale come una oramai obsoleta pena di morte, anche se in realtà sortisce più o meno lo stesso effetto, agli occhi di quelli che vivono al di là del vetro.»
«Eppure tu parli come se io fossi già morto.»
«Al massimo tra una anno sarà così. Che nel tuo piccolo pianeta corrisponderanno ad altri dieci anni. Eppure l’aria salata di Requebeq Sesto ha reso le tue ossa forti per molti anni. Dovresti esser grato ad essa per averti fatto sopravvivere così a lungo.»
«Risparmiami le tue scempiaggini e vai dritto al punto. Perché c’è un punto vero? O sei venuto qui solo per ridermi in faccia?»
«Effettivamente, non sarei qui se non ci fosse un valido motivo. Viaggiare nel rimpicciolitore di particelle più essere molto stancante ed evito di farlo, se non è assolutamente necessario.»
«Riguarda la mia famiglia? È successo qualcosa a mia figlia?» Chiede con una certa preoccupazione Sanjuki.
«Non preoccuparti, tua figlia sta benissimo. Ora lavora al Centro di Ricerche Biomolecolari ad Impatto Sonico nella città di Salandris, nel pianeta Hootor Decimo.»
«Significa che l’hanno promossa. La mia bambina…»
«Sì, ora è una ricercatrice in gamba e una brava ragazza, senz’ombra di dubbio. Non come quel farabutto di suo padre ergastolano.»
«E chiede di me?»
L’imbottigliatore scuote la testa. «Anche se lo facesse, noi non potremmo dir nulla.»
Il vecchio abbassa lo sguardo, atterrito dalla sconforto. «Vorrei vederla per l’ultima volta… Solo per dirle addio… »
Walter tossisce, forse perché rifiuta di sentir avanzare richieste così utopiche. Gli sarebbe impossibile soddisfarle, nemmeno se lo volesse. «…Non sono qui per questo, Sanjuki. Devo dirti delle cose. Delle notizie dall’esterno.»
«Esterno? Notizie dell’universo reale?»
«Non chiamarlo reale. Questo sistema solare è reale quanto tutti gli altri, solo… più isolato. Comunque percepisco la tua incredulità: sappiamo entrambi che nessuna informazione che non riguardi i familiari deve trapelare a coloro che scontano una pena all’interno delle palle di neve. Ma abbiamo dovuto fare un eccezione.»
«E con ciò? Avanti, non tenermi sulle spine.»
«Prima però devi lasciarmi fare una premessa. Vedi, mercoledì scorso, il Partito Conservatore è caduto. Un evento che ha scosso tutto l’universo, per via della sua importanza storica e del fortissimo impatto che avrà nella vita di ogni singolo essere umano, ma non solo. Il Governo Galattico ha indetto un nuovo referendum per scegliere il nuovo partito che dovrà gestire le relazioni interne ed interuniversali della razza umana. Il risultato delle votazioni verrà reso noto tra una settimana, ma questa è una faccenda di secondaria importanza, al momento.»
«Pensi che me ne importi dei vostri trastulli politici? Tutto ciò non mi tocca affatto. Io morirò, come hai detto tu, tra un anno…»
«Invece credo che sotto alcuni aspetti riguardino anche te… e noi.»
«Che c’entrate voi?»
«Poiché facciamo parte di un’agenzia che serve il governo, lavoreremo per chiunque salirà al potere. Ma ora che i conservatori e le loro ideologie moderate sono cadute, tutti gli altri partiti promuoveranno la ricerca scientifica in tutte le sue forme, pur di ottenere il consenso della maggioranza planetaria. Anzi, i vari laboratori, come anche quello in qui lavora tua figlia, hanno già cominciato a intensificare la proprie attività di ricerca di nuove tecnologie, hanno acquisito nuovi ricercatori e commissionato la costruzione di macchinari avanzati che nel precedente governo erano stati totalmente aboliti» spiega con fare saccente l’imbottigliatore.
«Continuo a non capire.»
«Sto parlando di clonazione, Sanjuki. Qualcosa di cui forse avrai sentito parlare da qualche erudito o letto negli antichi libri di storia, ma di cui i moderni mass media, fino a pochi giorni fa, hanno praticato l’oscurantismo più inflessibile.»
«Sì, ne ho sentito parlare. Ora volete fare un doppione di me da usare per divertirvi a tormentarmi un altro po’ anche quando me ne sarò andato?»
«Non dire stupidaggini. Questo non avrebbe senso. Permettimi di dire che comunque il tuo nozionismo riguardo la clonazione è alquanto arcaico.»
«Ti ho detto che ne ho solo sentito parlare, tutto qui. Non credevo nemmeno fosse possibile, fare gli uomini come con lo stampino, tutti uguali.»
Walter accenna ora un sorriso al suo interlocutore. «Ed è qui che ti sbagli. Tu intendi per “clonazione” la sola idea di una copia di un uomo, di un essere vivente, o anche volendo, di un alieno. Ma possiamo estendere il termine anche ad altri ambiti, come ad esempio a quello… della riproduzione di oggetti. Ma non stiamo più parlando di genetica, bensì di un principio fisico legato al concetto di scambio equivalente.»
«Questo mi sembra già più interessante. Potreste clonare i vostri crediti galattici all’infinito.»
«Che idea… alquanto materialista! Ma non ti rendi conto di quello che possiamo fare ora con questa tecnologia? Devo dirtelo o ti bastano gli indizi?»
«Potreste clonare, be’… i pianeti ed i sistemi solari mi paiono ancora un po’ troppo grandi, a meno che i raggi gamma possano funzionare anche da raggi replicanti.»
«No, non esiste una simile tecnologia per ora. Siamo recentemente entrati in possesso però di quella che è ora la più avanzata macchina per clonazioni di oggetti esistente. Ma l’oggetto più grande che può duplicare corrisponde alla massa di un pallone da Snorfair, circa. Vuoi altri indizi o devo dirti proprio tutto io? Comunque c’eri andato vicino con la storia dei pianeti e dei sistemi.»
«Io… Non vorrete mica…» Sanjuki biascica parole sconnesse, l’incredulita è tanta in lui.
«Come facciamo noi funzionari governativi per imprigionare i criminali della peggior specie come te, Sanjuki?»
«Voi imbottigliatori, prendete i più piccoli sistemi solari dell’universo, quelli in cui gira almeno un pianeta che possa garantire la sopravvivenza di un essere umano, su cui poi ovviamente abbandonate il prigioniero, in balia di un territorio ostile e sconosciuto. Con i raggi gamma del rimpicciolitore, sondate completamente il tutto in modo tale da “imbottigliare” questi micro-universi in quelle stupide, fragilissime palle di neve, che appena scivolano via dalle vostre mani incompetenti potrebbero infrangersi al suolo in mille pezzi e così decretare la fine dell’esistenza di quell’universo in miniatura. Da come volete far credere, il procedimento serve a evitare spiacevoli evasioni, e che questo è il metodo migliore per metterci tutti quanti sotto chiave in tutta sicurezza. E voi vorreste clonare tali universi attraverso questa macchina che prima non vi era consentito usare!»
«Esatto. Non è che vorremmo, l’abbiamo già fatto.» Così Walter afferra la valigetta ai suoi piedi, la poggia sulle gambe, alza i ganci e la apre. All’interno vi è solo una sfera perfetta, della grandezza di una boccia, la cui superficie è di vetro trasparente. All’interno s’intravede l’immagine di un cielo stellato in miniatura, su cui volteggiano pianeti attorno ad un piccolo sole. Walter mette l’oggetto nelle mani di Sanjuki, in modo che possa esaminarlo al meglio.
«Che-che cos’è?»
«Il tuo micro-sistema solare sotto vetro, ovviamente. Non sarebbe stato possibile portarlo fino a te se non l’avessimo prima replicato.»
«Oh, non posso crederci. Sto tenendo tra le mani… pianeti? Interi, enormi pianeti nel palmo delle mani… » Effettivamente, all’interno della palla di neve, poteva percepire ad occhio umano lo spostamento dei mondi, il brillio delle stelle. Un vero e proprio sistema solare vibrante, vivo, eppure al tempo stesso così piccolo ed insignificante…
«È un’emozione irresistibile, vero? L’onnipotenza…» Walter serba molto orgoglio nei confronti di quel piccolo gingillo.
«Ma allora qui dentro c’è la copia di questo stesso identico pianeta? C-c’è un altro me, là dentro?»
«No, per fortuna. Una tale situazione sancirebbe l’esistenza di universi alternativi, e ciò potrebbe rivelarsi un qualche cosa di ingestibile, non solo per noi, ma per chiunque. Se fosse come dici tu, in breve tempo potremmo avere copie e copie di un grosso sistema solare, tanto che non ci renderemmo nemmeno conto se la realtà che stiamo vivendo sia quella originale, o sia quella di un altro universo imbottigliato. In qualunque caso, non sapremmo mai quale sarebbe la realtà, poiché ognuna sarebbe tale e quale all’altra, come un’infinita, inquietante serie di matrioske.»
«Non ho capito molto di quello che hai detto.»
«Ho cercato di dirtelo nel modo più semplice che conosca, sapendo che se ti avessi parlato di casuali e variabili, mi avresti capito ancora meno. Ad ogni modo, quella che hai tra le mani non è in realtà la copia del tuo micro universo, bensì la copia della palla di neve in cui esso è contenuto. Eviterei di agitarla troppo, perche se ti dovesse cadere tra le mani, faremmo la stessa fine di un asteroide la cui traiettoria prossima è un buco nero.»
«Cosa? Potevi dirmelo prima! Cavolo, stavo anche pensando di vedere che effetto faceva vedere la scomparsa di un sistema solare che non fosse il mio!»
«Puoi giocarci quanto vuoi, ma non prima che io me ne vada.»
«Cosa? vuoi lasciarmelo? E cosa dovrei farmene?»
«Quello che vuoi. Di certo non potresti usarlo per fuggire da qui, caro Sanjuki. Ma conosco uomini dalla misera esistenza ai quali, non in grado di porre fine alla propria vita per mancanza di fegato, farebbe comodo un gingillo come questo.»
«E tu mi reputi una persona del genere?»
«No, al contrario. Ma i miei capi hanno deciso che sia giusto così, che si possa fare pulizia di certa gente più in fretta senza violare la legge. Ma questo conta poco, se ci pensi bene: tu per noi durerai ancora un anno. Il fatto è che ci sembrava giusto che gli ergastolani avessero l’opportunità di un suicidio… legale. Un atto indolore, definitivo, senza mezze misure. Ma non saltare subito alle conclusioni e cerca di comprendere: nel nostro universo ogni pianeta abitato dispone di ospedali, ambulanze, medici, che in caso di morti mancate possono intervenire nella speranza di salvare l’aspirante suicida. Qui non avete nulla, non sapreste mai se, dopo esservi lanciati dalla scogliera, invece di spappolarvi il cervello rimarreste paralizzati, ritardando in maniera estremamente più lenta e dolorosa il vostro decesso. Nulla è sicuro, ma non se aveste tra le mani un simile oggetto… »
«Basta! Ho capito, ho capito. Credete che gente come me si penta in maniera così pragmatica delle propri peccati che voglia metter fine alla propria vita, pur sapendo che questa è già in qualche modo una non-esistenza, dato che siamo già stati tutti quanti messi sottovuoto, come le sardine. Questo non lo accetto, ho ancora una dignità, seppur labile. Tieni, non la voglio, la tua opportunità!»
«Volere dei miei capi, ma, mi dispiace, non puoi farla ritornare indietro. Noi abbiamo già l’originale che, nel caso tu rompessi la tua, scomparirebbe anch’essa. Te lo dico solo per dovere d’informazione, sai, siamo molto attenti a queste cose.»
«Ma, allora, cosa dovrei farmene di questa?»
«Usala come addobbo,» si limita a suggerirgli Walter «ti sei costruito una bella casetta, poco distante da qui. Spero non precaria come questa panchina, però, sennò potrei trovarla a pezzi la prossima volta che verrò a farti visita.» Poi sembra prestar attenzione all’ora segnata sul suo orologio allacciato al polso, che improvvisamente comincia a squillare come una sveglia. «Oh, è già ora che me ne vada.»
«Sciocchezze, so che non verrai mai più. Questo è il nostro ultimo incontro, vero Walter? »
«Se lo sai già, perché chiedermelo? »
«Volevo sentirlo dire da te. Almeno salutami come si deve!»
«Temo sia tardi, oramai. Ho un tabella severa da rispettare, e dopo di te ne ho altri diciotto a cui concedere la stessa opportunità» dice Walter, congedandosi con un alquanto insolito saluto militare.
Il vecchio gli punta contro un dito accusatore, e mentre parla la sua mano trema leggermente. «Maleducato, maleducato come sempre. Ma spero tua madre ti rimproveri quando ti comporti così.»
«Mia madre è ben arzilla. E più giovane di quanto tu possa immaginare. I vecchi come te, Sanjuki, li tratta allo stesso mio modo.» Walter scompare così inghiottito da un’onda violacea che lo avvolge ammantandolo come una nube. Il vento poi porta con sé i residui di foschia, senza lasciare nulla là, nel punto dov’era stato seduto poco prima l’imbottigliatore.
Edited by Mariodm93 - 1/8/2011, 15:16