La vendetta corre silenziosa
di Michael Rigamonti
Trix sedeva ansimante e madido di sudore su un tronco d’albero tagliato, al limitare della piccola radura. Tutto intorno a quell’angu-sto spiazzo erboso, la foresta si estendeva folta in ogni direzione.
Aveva appena visto in faccia la morte, guardandola negli occhi, senza paura e la cosa lo avrebbe segnato per sempre. La paura della morte, una sensazione talmente forte che lo sconvolgeva anche ora, come ogni volta, facendolo vibrare da capo a piedi scosso da potenti brividi. Nonostante il terrore di morire avesse su di lui un’influenza demoralizzante e svuotante, aveva ugualmente, all’opposto, un potere catartico per la sua anima. Chi d’altra parte non aveva paura della morte? Quella forte sensazione di panico di fronte alla fine della vita, lo sgomento che si può provare nella profondità delle viscere per il termine della strada che ben vediamo, che sappiamo com’è — o che crediamo di sapere come sia — e l’inizio di un sentiero che, immerso nelle tenebre, non riusciamo a scorgere dove conduca.
Curioso proprio il fatto che lui, Trix Lamorte, vivesse sempre con angoscia la paura di morire, ogni singolo giorno della sua vita. Eppure con il suo lavoro avrebbe dovuto essere abituato. Ogni incarico nuovi volti sempre diversi eppur così simili, tutti così finti, fantocci che interpretano le loro parti sul palco della vita. Tante persone differenti e alla fine tutti con la stessa espressione in faccia, la paura di fronte al baratro del trapasso che li rendeva in fine, definitivamente, tutti uguali.
Un cielo plumbeo e opprimente schiacciava tutto nel raggio di miglia rendendo l’atmosfera, in quella terra selvaggia e dimenticata da tutti, ancora più tetra. Le colline erano immerse nella silenziosa pace della frizzante aria mattutina; il sole giocava a nascondino senza farsi mai veramente vedere tra le nuvole passeggere, creando strani giochi di luci in un brioso andirivieni ripetitivo.
Prese fiato a pieni polmoni per cercare di tranquillizzarsi. Il cuore gli batteva ancora forte in petto, come un tamburo che suona la carica, e si sentiva il volto avvampare di calore. Sbuffò e cercò di riprendere il controllo dei suoi pensieri rallentando la respirazione mentre la sua mente vagava a briglia sciolta ripercorrendo gli avvenimenti di poco prima.
Ora che tutto era finito si sentiva stanco, come se non avesse dormito per giorni, e le sue palpebre vacillavano vistosamente dando segni di cedimento. Anche se si era abituato a quella vita di continuo vagabondare senza sosta, ora si ritrovava sfiancato come se un grosso macigno gli pesasse sulle larghe e massicce spalle che tante ne avevano viste da non riuscire più a ricordarle tutte. Per non parlare poi di quel nido di vespe che gli si era creato direttamente dentro la testa, trascinandolo a denti serrati in uno stato comatoso senza pensieri nel ronzare delle sue riflessioni. Si sarebbe fatto volentieri una dormita di quelle lunghe e profonde, un soporifero sonno senza sogni in cambio di tutti i suoi averi se solo fosse riuscito a rilassarsi. Per un lungo istante l’idea lo accarezzò tentandolo.
Si scrollò di dosso i pensieri scuotendo violentemente la testa e facendo vorticare nell’aria bisbigliante del bosco i lunghi capelli castani. Non era ne il momento ne il luogo adatto per lasciarsi andare così, abbassando la guardia in mezzo al nulla. E poi ora era isolato dal mondo e solitario nel suo viaggio, orfano di compagni e compagno di se stesso. Non gli era rimasto nessuno su cui contare; non che avesse veramente bisogno di qualcuno, se l’era sempre cavata da solo facendo affidamento solo sulle proprie capacità, ma di tanto in tanto faceva piacere godere della compagnia di qualcuno.
A pochi passi dal tronco su cui si stava riprendendo Trix, giaceva, in una posizione alquanto innaturale, un corpo immobile e sanguinante, disteso sul manto di foglie secche che ricoprivano il fondo umido del terreno. L’erba, giallognola e sbiancata da un sottile strato di brina residua della notte, si stava colorando di un porpora acceso nei pressi del cadavere da cui il sangue sgorgava ormai lento attraverso una profonda ferita nel basso addome.
Eccolo lì dunque, l’ultimo dei legami che lo collegava col mondo esterno, l’ennesimo burattino inanimato che si aggiungeva alla lunga lista delle persone scomparse. Trix fissava ora il corpo disteso a terra con lo sguardo perso, ripercorrendo mentalmente tutto il gran caos che si era scatenato da quel giorno andato di parecchi anni prima. Ora, tutto quel periodo di anni e anni che si erano srotolati più o meno velocemente uno di seguito all’altro, guardati da quel punto del presente, gravavano come fossero state ere intere. C’era una lunga, infinita lista di amici, conoscenti, parenti, una sequenza di nomi che gli ricordava tutti quelli che se ne erano andati, lo avevano accompagnato per un breve o lungo periodo di tempo lungo quel cammino tortuoso che era stata la sua vita e poi, uno dopo l’altro, avevano lasciato questo mondo.
Ora non c’era più nessuno. Era l’ultimo, il punto esclamativo che concludeva la frase, l’ultimo mattone del muro rimasto in piedi. Era destinato anche lui a cadere come gli altri, sotto il peso del pesante martello demolitore? Probabilmente si. Come poteva un uomo solo, un unico battito cardiaco sulla piatta linea di quella civiltà decadente, arginare tutta quell’acqua, quell’onta di odio che sembrava inarrestabile già quando a combatterla erano un’intera brigata. Era l’ultimo milite anonimo dell’epoca
*
U
n suono dolcemente melodico e cadenzato riempiva la stanza. La donna, seduta al pianoforte di spalle, faceva danzare le mani trasformando la pressione sui tasti in un balletto teatrale. Era bellissimo sentirla e vederla suonare, estasiata dal ritmo e persa nel suo mondo.
Trix la guardava adorante dall’altro lato della stanza, seduto su una comoda poltrona vicino al camino. Era entrato con l’intenzione di parlarle ma non voleva disturbarla mentre suonava; era così rasserenante vederla fremere sulle note delle sue composizioni che non aveva avuto il coraggio di interromperla.
C’erano una miriade di fogli sparsi per tutta la stanza, tutti identici e diversi: una chiave di violino, un pentagramma e le note che volteggiavano briose lungo le linee in un susseguirsi di dolci armonie e gelide tragedie. Puntualmente, quando Lei decideva di dedicare un po’ del suo tempo all’amico pianoforte, quella stanza dell’ala est veniva sommersa da un gradevole caos pacifico.
Nessuno poteva entrare quando Amelia era lì ma a Trix piaceva intrufolarsi di soppiatto, sgattaiolando senza far rumore, e guardarla agitarsi e turbarsi su quel perfido strumento che era la sua gioia e la sua sofferenza. Non ne parlava mai ma Trix era certo che ne traesse un senso di godimento e di dipendenza simile a una maniacalità bruta e sacrosanta. C’era qualcosa di straordinario nello stare ad osservarla mentre spandeva la sua anima tutta intorno a se, come se il suo corpo non riuscisse a trattenerla dentro e avesse il disperato bisogno di quello sfogo per rilasciarla sottoforma di arte. Erano dei momenti deliziosi quelli, forse perché le cose inaspettate sono anche quelle che si rivelano più speciali.
Le note smisero di suonare la loro lenta melodia di botto, interrotte subito dopo un frizzante ritornello, spezzando l’incantesimo che incombeva sulla stanza mentre il silenzio calava. L’aria che fino ad un momento prima era traboccante di condensata energia che rendeva l’atmosfera incantevole, come dentro ad un meraviglioso sogno denso, ora era irrealmente ferma.
Amelia era intenta nei suoi pensieri taciturni e non si era accorta della sua presenza. Più volte fece rimbalzare il suo sguardo tra lo spartito, posato sopra al ripiano, e la tastiera accompagnando il movimento con un gesto della mano a premere i tasti provando varie scale di note, probabilmente intenta a cercare un continuum melodico per la sua creazione.
Quando si riscosse dalle sue riflessioni alzò pigramente gli occhi sovrappensiero e, scorge la figura seduta sulla poltrona attraverso un polveroso specchio, si girò raggiante con un ampio sorriso che le risplendeva in faccia. Era bellissima, l’amore della sua vita, un angelo splendente.
«Non ti avevo notato» disse lei compiaciuta «È molto che mi osservi?»
«Quanto basta» replicò Trix rispondendo appagato al sorriso di lei. Si era alzato come controvoglia avvicinandosi lentamente al pianoforte, il suo sguardo incollato alla figura di lei, brillante tra i raggi di sole che sprofondavano caldi dalla finestra illuminandola.
«Devo andare. Il falco del vecchio RIP è arrivato pochi minuti fa. È il segnale» aggiunse lui abbassando lo sguardo ai suoi piedi che evidentemente, per l’imbarazzo di quella notizia che doveva comunicarle, avevano attratto la sua attenzione.
«Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato il momento» sospirò lei un po’ imbronciata «So e l’ho sempre saputo. Lo sapevo ogni volta che tornavi e lo sapevo ogni volta che te ne andavi, come lo so ora. L’ho saputo fin da sempre, forse anche per questo ti ho amato, per quello che fai. Eppure ancora mi ferisce ogni tuo sguardo, quello che hai quando vieni a portarmi quella notizia che so di attendere e che pur non mi rassegno mai di poter non ricevere. Ti sembrerà stupido, ma ti prego, non lasciarmi!». Le lacrime avevano cominciato a solcare il pallido viso fino a poco prima risplendente di gioia.
«Tornerò, te lo prometto Amelia» garantì Trix, sicuro di se come non lo era mai stato. Avrebbe dato la vita per non vederla piangere ma questa volta la questione era ben al di sopra della sua misera esistenza. La Brigata dei Custodi del Codice non avrebbe fallito questa volta, le circostanze non lo consentivano.
«Vedrai che non ci metteremo molto a far scappare qui luridi complottatori. E poi lo sai che non sono così facile da uccidere. Ho ancora una pellaccia dura» ribadì sicuro di sé, battendosi una mano sul petto per rincuorarla.
«D’accordo» sibilò Amelia controvoglia «L’unica cosa che posso chiederti: promettimi che mi penserai»
«Ogni singolo giorno della mia vita. Lo giuro» disse Trix sereno.
Amelia ritrovò il sorriso tra le lacrime mentre si alzava. Dal suo sguardo si percepiva che il senso d’angoscia per la partenza di suo marito ancora l’attanagliava e le straziava il cuore. L’amava con tutto se stesso e sapeva che anche per lei era la stessa cosa.
Lei gli corse incontro gettandosi tra le sue braccia forti mentre le lacrime avevano ripreso a scendere più copiose di prima.
«Tornerai vero?» lo supplicò lei «Voglio sentirtelo dire di nuovo»
Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei.
«Tornerò» le sussurrò dolcemente Trix all’orec-chio «Sei la cosa più preziosa che ho. Non permetterò a nessuno di portarti via da me. Mai!»
Amelia sollevò il viso dal petto di Trix e lo guardò negli dritto negli occhi; trasognante, con il viso ancora rigato dalle lacrime e le guance rosee balenanti sul viso pallido, lo osservava come cercando di entrare nella sua mente per scoprire se le stesse mentendo.
«Ti aspetteremo allora» disse finalmente, dopo un lungo silenzio, abbassando lo sguardo mentre con una mano sfiorava l’inizio di prominenza del suo ventre. «Aspetteremo il tuo ritorno insieme, io e lui»
«A presto, amore» disse Trix avvolgendola tra le braccia mentre le posava un delicato bacio sulle labbra.
Mentre se ne andava raccolse il piccolo zaino malconcio in cui aveva raccolto i suoi effetti personali e uscì dalla porta di casa lanciandole un’ultima occhiata sorridente e sussurrando un muto “tornerò”.
*
I
l ricordo dell’ultima volta che aveva visto sua moglie ancora in vita, lasciando Amelia in attesa di suo figlio, era ancora vivido in lui quando udì uno scricchiolio sommesso provenire dai cespugli al margine opposto dello spiazzo dove si trovava.
I suoi sensi furono subito all’erta ripulendo la sua mente dalle reminiscenze del passato. Era una sensazione strana ma piacevole quel senso di potere che gli fluiva deciso nelle vene rendendolo vigile e reattivo; la paura scompariva lasciando spazio alla calma interiore.
Un crepitio appena percettibile di foglie smosse e calpestate giunse dalla sua sinistra mentre sguainava la spada e si concentrava avidamente sulle percezioni che gli sgorgavano impetuose nella testa. Dalla stessa direzione fece capolino un Tasso Volgare piuttosto seccato che attraversò rapidamente la radura lanciando imprecazioni a raffica e corse rapido nella direzione opposta in cerca di un rifugio migliore.
«Stupi-di… irritan-ti… ottu-si… esse-ri arrogan-ti» sentì ringhiare a denti stretti l’animale mentre lo osservava filare lesto oltre gli arbusti.
Qualcosa doveva averlo parecchio infastidito e spaventato considerando che era scappato a gambe levate nonostante la nota territorialità che contraddistingueva la specie.
Il sesto senso di Trix iniziò ad urlargli dentro la testa che era in pericolo. Prese nota della cosa senza dagli molto peso e frugò con lo sguardo nel sottobosco alla ricerca di indizi. Non c’era niente tra i cespugli tuttavia qualcosa gli suggeriva il contrario.
Un forte suono deciso, come uno colpo violento di legno contro legno, risuonò nell’aria. Qualcosa aleggiava nei paraggi disturbando la consueta quiete della natura
Poteva sentire la tensione come materializzarsi intorno a lui mentre indagava con i sensi in un’ana-lisi approfondita della situazione. Solo a quel punto si accorse che stava trattenendo il fiato; respirò a fondo e chiuse gli occhi convogliando i pensieri.
Raccolto in una meditazione profonda si guardò intorno con gli occhi della mente. Per qualche istante vide solo una semplice riproduzione mentale della foresta che lo circondava, ma poi, rovistando accuratamente, percepì alcuni riflessi indistinti. Forzò i limiti della sua mente per mettere a fuoco; il silenzio scese a posarsi su tutto mentre i suoni che percepiva venivano ovattati come dentro a una grande cupola di vetro. Il suo cuore aveva ripreso a galoppare più forte di prima e avvertì grosse gocce di sudore imperlargli la fronte. Con un ulteriore sforzo escluse completamente la consapevolezza del suo io materiale espandendo la conoscenza mistica.
Ora riusciva a scorgere distintamente cinque, anzi sei ombre in cerchio che avanzavano verso di lui. “È giunto il momento dunque” pensò sorridendo beffardo e ritornando alla realtà.
«Penso tu abbia scelto un ottimo posto dove morire» latrò una voce potente alla sua sinistra «Non trovi Trix?»
«Sapevo che prima o poi ci saremmo nuovamente incontrati, Ardesio. In qualche dove e in qualche quando era destino che le nostre strade si riallacciassero» disse con aria di sufficienza Trix scandendo lentamente le parole «E io non aspettavo altro!»
Un uomo di alta statura si fece largo tra gli alberi scostando alcuni rami bassi. Aveva un viso spigoloso, coperto di barba incolta e incorniciato una da crespa coltre di capelli bruni; ampie fosse sopra il naso contenevano due occhi bui e profondi con un iride grigio chiaro che li rendevano spettrali. Indossava un lungo mantello bianco sopra ad una semplice armatura di cuoio.
«Ovviamente, però questa volta sei solo. Il tuo amico…» disse indicando il cadavere steso a terra «…vedo che non ha più molta voglia di vivere. Non credo che ci si dovrebbe far trovare così quando si aspettano ospiti»
L’uomo chiamato Ardesio fece una pausa sorridendo avidamente, come a sottolineare lo sbeffeggio a cui stava sottoponendo Trix che, nonostante tutto, rimase impassibile.
«Il piccolo eroe» aggiunse poi divertito «non ce l’ha fatta stavolta eh? La morte ti sta sempre incollata alle calcagna caro Trix. Dovresti fare qualcosa per…»
«Finiscila con questa buffonata!» sbottò Trix interrompendolo «Tu piuttosto: vedo che hai portato degli amici. Hai paura di affrontarmi da solo?»
Il sorriso canzonatore di Ardesio subì solo un impercettibile tremolio. Trix però lo notò e se ne compiacque.
Cinque figure sfuocate, come avvolte nelle fiamme di un fuoco invisibile, lo circondavano da ogni lato. In quei volti appena distinguibili riconobbe alcuni individui che conosceva bene.
«Non dire assurdità, Guardiano dei miei stivali» rispose pacato Ardesio «Ti potrei umiliare anche senza armi. Loro sono venuti solo per guardarti morire.
«Conosci già Cremesi… Lavanda… Fulvo… e Pervinca» proseguì indicando con lo sguardo quattro delle cinque persone intorno a Trix. Il suo occhi si soffermarono sullo sconosciuto alla sua sinistra «Questo invece è Bordesto. Si è da poco unito alla causa»
L’uomo esile, avvolto in un candido mantello bianco come gli altri, fece un piccolo inchino mentre i suoi contorni si facevano più nitidi. Quando rialzò lo sguardo verso Trix il rogo invisibile che lo avvolgeva ricominciò ad ardere cancellando i suoi lineamenti.
«Bene. Ora che sono finite le presentazioni sei pronto a chiudere definitivamente i conti che abbiamo in sospeso?» chiese Trix «Oppure preferisci discutere di quelle ceneri fumanti li per terra che una volta erano Giada?»
«Giada» sussurrò appena udibile Ardesio «Voleva sempre fare tutto da sola. Si credeva invincibile, proprio come te. Ma entrambi sappiamo che prima o poi i nodi vengono al pettine»
Era pensieroso e con lo sguardo perso, fisso sulle spoglie che restavano della donna che un tempo era conosciuta col nome di Giada.
«Immagino che sia stata una sfida ardua. Anzi, da quello che vedo hai dovuto dare il meglio di te…» osservava intensamente la guancia destra e la fronte di Trix su cui erano stati impressi due profondi tagli. Oltretutto anche il suo pastrano non era conciato meglio visti gli squarci che si erano aperti un po’ ovunque facendo assomigliare la parte inferiore ad un nugolo di stracci sbatacchiati dal vento. Non era uscito indenne da quello scontro e Ardesio aveva ragione per quanto riguardava l’arduità della situazione, tanto più che il giovane che era con lui aveva dovuto subire una straziante fine precoce.
«Giada non era certo un’incantatrice banale» disse orgoglioso Ardesio «Ho visto poche persone riuscire a fare quello che faceva lei con la sua naturalezza. Ma ora non perdiamo altro tempo. Se è lo scontro ciò che vuoi…» replicò mettendo mano alla mazza flangiata che gli pendeva dal fianco destro per niente sfiorato dalle parole di sfida di Trix.
I due brandirono le rispettive armi davanti a loro e si fronteggiandosi sguardo contro sguardo. La spada lunga di Trix prese a fiammeggiare avvolta tra ardenti lingue di fuoco blu. La possente mazza sfoderata da Ardesio venne avvolta da una luce irreale. Le persone indistinte ai bordi dello spiazzo rimasero immobili, come se nulla fosse successo, esaminando attentamente l’evolversi della situazione.
«Avanti dunque: mostrami quanto forte è diventata la sete di vendetta per la morte di tua moglie…»
Edited by Mariodm93 - 1/8/2011, 15:21