Racconto: Holger Mannaia

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Mariodm93
view post Posted on 30/6/2011, 23:40




Holger Mannaia


di Marco Pastorelli






Graurgh! Il ringhiare ferino divampò stridente tra la cacofonia generale dell’arena. Zanne affilatissime, tutte imbrattate da brani di carne sanguinolenta, fiammeggiarono di lucente opacità nella penombra. Zwiss! Un istante appena dopo, il baluginante sibilo della lama di ferro della mannaia troncò di netto ringhio e fauci in un sol colpo, spargendo lapilli di sangue sui corpi delle due belve che già giacevano cadaveri. Emettendo un brontolio di tetra soddisfazione, Holger Mannaia spedì con un calcio il corpo martoriato della iena lontano da sé. Altre schegge purpuree chiazzarono il pavimento in roccia calcarea dell’arena. Roteando con un gesto fluido l’arma da cui prendeva il suo soprannome, Holger Mannaia si riportò in posizione di difesa, braccia larghe e ginocchia piegate di tre quarti. Tre saprofagi giacevano a terra, smembrati. Altri tre gli si fecero incontro, bava putrida colava tra le zanne giallastre delle iene. La mano destra di Holger strinse più forte l’impugnatura di semplice legno dell’arma. L’invisibile potere della mannaia fluì più copioso attraverso le sue dita, irrobustendo tendini, gonfiando muscoli e trainando nervi. Con un sorriso di trionfo, Holger Mannaia si scagliò repentinamente in avanti, dritto in bocca alle fiere, mulinando la propria arma con una rapidità che non gli apparteneva. Colte di sorpresa, le belve si divisero. Holger irruppe tra loro come un tornado tra le foglie. Zwiss! Fendente trasverso a destra, e la prima iena crollò con il cranio aperto a metà. Holger ruotò su sé stesso, agile come un folletto dei boschi. Zwiss! Colpo ascendente dritto in avanti; la seconda belva franò a terra con il torace squarciato. Holger saltò in avanti, con un ringhio gutturale. Zwiss! Calata verticale, e l’ultimo animale rimase inchiodato a mezz’aria, con la pesante lama della mannaia profondamente infissa nei resti spugnosi delle cervella. Piantando il tacco di uno stivale malconcio sul pelo fetido del saprofago, Holger svelse la lama dal cranio.
Il roboante boato della folla s’innalzò come dal nulla con la potenza di un terremoto, squassando ogni singola parete, ogni più piccolo androne della caverna. Tutt’attorno al cerchio dell’arena, la folla era in delirio. Rabberciati sui sedili di pietra scavati lungo la parete, abbarbicati sulla fredda cancellata irta di punzoni, schiacciati gli uni agli altri come bestiame al macello, tutti gli spettatori acclamarono all’unisono la nuova vittoria di Holger Mannaia in quel cruento torneo di gladiatori. Holger levò alte le braccia verso il pubblico. Era la sua terza vittoria, quel giorno. Tre incontri, tre successi. Mentre offriva la propria impresa alla moltitudine, dentro di sé Holger Mannaia rideva con maggior gusto di una sgualdrina ubriaca. Ancora due incontri. Ancora due vittorie. Due soltanto, e il collare tempestato di gemme del campione sarebbe stato suo. Non mi squadrerete più dall’alto, boriosi sacchi di sterco!, pensava l’invitto Holger, rivolgendo il proprio sguardo, colmo di malcelato astio, ai pubblici ufficiali di Khorlstein e delle cittadelle vicine, che se ne stavano stravaccati tronfiamente su morbidi divani, col culo poggiato su pregiate stoffe damascate soffici come piume, nell’alta piattaforma incastonata nella parete e riservata solo ai membri delle autorità cittadine.
Il Primo Funzionario Quillas, con il suo doppio mento cascante; il Sommo Aruspice Sniedelz, dalla barba candida intrecciata con anelli d’oro; il maresciallo Aber Wochrane, il cui elenco di balordaggini era ben più lungo dello spadone a due mani che portava. Tutti loro lo avevano relegato allo status di feccia, un tempo. Holger Mannaia era nato nella cittadella mineraria di Avlissen. Era nato senza né proprietà, né quattrini, né diritti. Servo, se non schiavo, e come tale aveva vissuto, bracciante minatore nelle cavità tarlate di Avlissen, tra esalazioni di zolfo, rigurgiti di veleno, infestazioni di ratti di fogna. Una vita di lerciume, derisione, sofferenza. Ma questo era stato prima. Prima di trovare la sua mannaia. Da allora, tutto era cambiato. Il mondo aveva assunto una prospettiva decisamente più florida. Cullandosi in quest’ultimo pensiero, Holger uscì dal cerchio dell’arena, dirigendosi verso il cubicolo che gli era stato assegnato. Si slacciò l’intricata impalcatura di cinghie di cuoio borchiate che gli avviluppavano il torace, la sua unica concessione di armatura contro colpi nemici. Colpi che ben difficilmente l’avrebbero raggiunto. Giunto alla propria postazione, Holger scaraventò l’ammasso cuoioso sul tavolaccio. Un ragazzo smunto come un osso spolpato e vestito di stracci gli si fece incontro, sorridendo al di sotto degli spelacchiati baffetti, color volpe come i suoi capelli. Era Feyo, il suo paggio, il suo servente nei tornei. Un servente di ben misera utilità, ma anche l’unico che Holger Mannaia potesse permettersi.
“Sei un grande, Holger!”, ragliò il ragazzo, “ancora due pestaggi e ce l’avremo fatta! Sei grande, vecchio mio!”.
Sì, pensò Holger con spregio, ancora due e ce l’avrò fatta. E poi ti spedirò lontano da me a calci nel culo! “Sì, sì”, si limitò invece a dire, “tutto sta andando a meraviglia, Feyo. Ora portami da mangiare, muoviti!”, disse con un gesto secco.
Mentre il paggio correva alle cucine da campo, Holger raggiunse la traballante sedia di cordame e ci si lasciò cadere con un tonfo. Pulendosi la fronte dalle polveri calcaree, Holger incontrò di sfuggita con lo sguardo lo specchio ovale sul tavolaccio. Il vetro riflettente gli restituì l’immagine del suo volto spigoloso oscurato dal pulviscolo, dei suoi capelli bruni spettinati, del velo di barba ruvidamente sparso sul mento. Hai quarant’anni, vecchio idiota, disse a sé stesso il gladiatore, sorridendo al proprio riflesso, sei un vecchio pazzo, ma oggi vincerai! E sputerai su tutti quanti loro!
Sulla sua vittoria, Holger non nutriva dubbi. La mannaia lo avrebbe fatto vincere. Ancora una volta. Il gladiatore poteva già fregiarsi del titolo di campione di tre delle undici cittadelle minerarie che ornavano l’orlo della Fossa di Rahyaronn. Questa volta, però, c’era in gioco la posta più alta di sempre: il titolo di campione assoluto dell’intera Fossa. Un’onorificenza che lo avrebbe elevato per sempre ai ranghi più alti della società, allo stesso livello di coloro che, per anni, avevano calpestato la sua vita con i loro tacchetti damascati.
“Una vittoria eccitante, gladiatore”, sussurrò sinuosa una voce femminile al suo fianco.
Holger si voltò sorridendo. Elaydora, bassa e snella come una donnola, e astuta altrettanto, lo fissava tra la trama di ciocche corvine, setacciando i suoi muscoli con le iridi azzurro ghiaccio.
“Avevi definito le mie vittorie in migliaia di modi, finora, Elyadora. Ma eccitante mai.”, rispose Holger, alzando gli occhi a incontrare lo sguardo della donna.
Elyadora si strinse nelle spalle, scuotendo il corpetto di cuoio. “Quelle belve urlanti, zanne che scintillano, sangue che schizza, tu circondato da creature selvagge…Molto eccitante, gladiatore!”, ribadì la piccola virago, con un lampo ferino nello sguardo. Non lo aveva mai chiamato per nome. Sempre e soltanto gladiatore. Con movimenti serpentini, Elyadora si chinò in avanti, poggiando la minuta mano adornata di anelli sul torace nerboruto di Holger. “Vinci ancora, gladiatore, e io sarò ancora più eccitata. Diventa campione, e non avrò limiti. Ricordalo, gladiatore!”, gli sussurrò lubricamente all’orecchio, prima di ritirare con lentezza la mano. Ciò fatto, Elyadora scomparve tra la folla.
Nuovamente solo, Holger Mannaia non trattenne una risata. Da anni godeva dei favori della feroce Elyadora, senza mai motivo di lamentarsi. Quella virago, però, era soltanto una donna di strada. Una volta diventato campione, pensava Holger, avrebbe voluto con sé una signora, come le mogli dei burocrati lassù nella piattaforma. E Holger voleva vincere con tutto sé stesso.
“Eccoti il pasto, capo!”, gracchiò Feyo, di ritorno con un vassoio, strappandolo ai suoi pensieri. Holger annuì con un cenno. Il servente, deposte le vivande, tornò a perdersi a sua volta nella baraonda. Soddisfatto, Holger fissò il tozzo di pane maltato e la bottiglia di vino di bacca sul vassoio. Sorrise. Quand’era minatore, si era potuto concedere al massimo la limacciosa acquavite di rape dei bassifondi, che avrebbe contorto le budella a un cadavere. Come cambiano le cose, pensò, poggiando la fedele mannaia sul ceppo di legno. Non provò neppure a conficcarla: sapeva bene che non ci sarebbe mai riuscito. La sua mannaia non era una qualunque lama di ferro infissa in un pezzo di legno. Era un’arma magica! Niente e nessuno avrebbe mai potuto frenarne il filo micidiale. Tuttavia, la mannaia di Holger aveva anche un’altra prerogativa: funzionava soltanto nello scontro con un nemico. E soltanto se il nemico in questione era più forte di chi la impugnava. Holger lo sapeva.
Aveva trovato la mannaia nove anni prima, compiendo scavi minerari nei cunicoli di Avlissen. L’arma era in una nicchia nascosta, in compagnia di un tavolaccio marcio, di uno scheletro avvolto in vesti tarlate, e di una pergamena rinsecchita, chiusa da una spilla d’oro a forma di falena. Di chiunque fosse la carne che un tempo vestiva lo scheletro, egli aveva creato l’arma, lasciando ai posteri le istruzioni per l’uso nella pergamena. Holger le aveva lette, quindi aveva ucciso il suo compagno di scavi, rubato la mannaia e trovato il modo più congegnale di farne uso: l’arena. Dalle stalle alle stelle. Gli era stato sufficiente non utilizzare la mannaia contro gli avversari più scarsi di lui, e nessuno mai s’era accorto del trucco. Dei più forti, invece, l’arma faceva mattanza, e Holger vinceva. Sempre. La natura, poi, aveva fatto il resto, dato che il gladiatore era alto un metro e novantacinque, e pieno di muscoli rigonfi sviluppati in miniera.
Addentando il pane con voracità, Holger tornò col pensiero ai combattimenti del giorno. Nel primo caso gli era toccata una guardia di porta della cittadella, un baffuto damerino in armatura rivestito dal drappo rosso e viola delle guardie. La mannaia aveva frantumato la scimitarra del baffone al secondo incrocio, la sua faccia al terzo. Nel secondo turno, Holger aveva avuto paura. E a ragione: il suo secondo avversario era un ogre. Per quanto Holger fosse grande e grosso, il mostro dalla pelle itterica era almeno due volte la sua stazza, con un cranio calvo grande quanto una botte ed armato di una clava di pietra più alta di un uomo. Confidando nella magia, però, il gladiatore aveva attaccato. Versandosi in gola un robusto sorso di vino di bacca, Holger sorrise, al ricordo di come la mannaia aveva deviato l’immane clava senza neppure scheggiarsi, e di come lo sguardo dell’ogre fosse inebetito, quando lui gli aveva piantato la lama in profondità nel cranio gigantesco. Rivolto mentalmente unicamente a sé stesso, Holger si battè una mano sul torace con forza. Aveva sconfitto un ogre. Nulla avrebbe potuto fermarlo, ora.
Il corno dell’adunata in arena risuonò cupo tra le stalattiti del soffitto. Ora di ricominciare. Ingollando un secondo, ed ultimo, sorso di liquore, Holger si alzò di scatto, afferrando la mannaia ed il cinghiame di cuoio. Un paio di minuti dopo, acclamato a braccia alzate dalla folla urlante, Holger fece il suo quarto ingresso nell’arena.
Il suo avversario era già in posizione, fermo immobile, e lo aspettava. Holger lo fissò con sguardo obliquo. L’uomo era alto quasi quanto lui ma infinitamente più snello e sprizzava agilità da tutti i pori. Aveva un volto largo e mascolino che contrastava vivacemente con i lineamenti fini e delicati come quelli di una ragazzina o di un elfo dei boschi. L’uomo, che l’araldo annunciò a gran voce come Zverotìc, era abbigliato con la lunga veste-armatura a scaglie smeraldo, portata sopra una tunica aderente nera, tipica dei guerrieri marziali dei monti dell’Est, ascetici combattenti che padroneggiavano le arti della guerra con la facilità di un bambino che impugna un cucchiaio. Tra le mani, l’orientale reggeva un bastone sottile e flessibile, lungo quasi due metri, fornito ad ambo i lati di affilatissimi punzoni irti di barbigli. Come Holger ben sapeva, quell’asta mulinava con velocità siderali, nelle mani degli ascetici guerrieri. Ciononostante, non ebbe la minima remora a piazzarsi a sue volta in posizione. Voleva il titolo, e l’avrebbe avuto.
Appena l’araldo diede il segnale, il silente Zverotìc volò in avanti come un rapace in picchiata, più rapido del pensiero. Holger, colto di sorpresa, ebbe appena il tempo di scagliare in avanti il braccio armato, imprecando. La mannaia cozzò di sghimbescio contro l’asta. Le due punte dell’arma morsero la carne di Holger, l’una alla coscia sinistra e l’altra alla spalla destra. Se la mannaia non l’avesse deviata, l’asta lo avrebbe squartato al primo colpo. Velocissimo, Zverotìc balzò indietro, compiendo un affondo in avanti durante il salto. Holger riuscì a deviare di lato il punzone, ma non a impedire che i barbigli gli infierissero sulla pelle del fianco. Infuriato, Holger caricò in avanti, spingendo a lato l’asta del nemico. Come una ballerina, Zverotìc ruotò su sé stesso, sottraendosi all’incornata, ruotando l’asta, picchiando duro col manico contro le vertebre di Holger. Con uno sforzo notevole, Holger roteò a sua volta, riuscendo ad afferrare al volo l’asta nemica. Prima che potesse calare la mannaia, però, lo stivale dell’orientale lo colse in piena faccia, spaccandogli il labbro, spedendolo indietro. Zverotìc liberò l’arma. Riavutosi all’istante, Holger impugnò a due mani, calando l’arma con furia selvaggia. Pacatamente, Zverotìc sollevò l’asta in orizzontale, pronto a parare. Fu la sua fine. La mannaia, circonfusa d’invisibile magia, tagliò di netto l’asta come fosse inconsistente, proseguendo la sua discesa, sbrancando la veste, attraversando le carni sottostanti fino a piantarsi nella colonna vertebrale. Zverotìc rimase secco sul colpo. Con un grido furente, Holger strappò via la propria arma dal cadavere. Il gladiatore, ebbro di massacro, sollevò alte le braccia, insanguinate fino al gomito, bevendosi le urla della folla come una spugna.
L’araldo annunciò l’esito a gran voce e dichiarò la pausa di rito prima dello scontro finale.
A queste parole, Holger abbassò le braccia di scatto, voltandosi verso l’araldo con una luce di follia negli occhi. “No!”, tuonò il gladiatore, fuori di sé, avvicinandosi minacciosamente all’ometto, “Nessuna pausa, uomo. Io non voglio aspettare! Voglio combattere adesso!”. Così ruggì Holger Mannaia, sanguinante da più tagli, stanco, sudato ed appena scampato per un pelo dalla morte. La vittoria contro un avversario letale come Zverotìc lo aveva portato oltre la consapevolezza, oltre la coscienza. Voleva chiudere più in fretta possibile. Voleva chiudere ora.
L’araldo, ritrattosi intimorito, lo guardava senza sapere cosa rispondere. L’ometto sollevò gli occhi in alto, verso la piattaforma, incontrando lo sguardo del Primo Funzionario. Quillas annuì solennemente. Rinvigorito, l’ometto annuì a sua volta in direzione di Holger. “Così sia, allora!”, dichiarò tonante l’araldo, “che avanzi dunque l’ultimo sfidante, signori! Si dia inizio al gran finale!”.
Mentre il cancello dell’arena si apriva, Holger controllò le proprie ferite. Sanguinavano a rivoletti, poteva continuare senza nessuna pausa. Spostò gli occhi sulla folla, cercando volti noti. Feyo sorrideva gongolante sotto i baffi volpini, Elyadora si passava la lingua sulle labbra con fare significativo.
L’araldo annunciò l’avversario, e Holger si girò. Appena lo vide, il gladiatore dovette trattenersi dallo scoppiare a ridere sonoramente. Dinnanzi a lui c’era un ragazzino! Un giovane di sedici, forse diciassette anni, con la barba appena sbozzata, vestito di stoffe lacere, uno sguardo smarrito negli occhi ambrati, minuscolo dinnanzi a lui. Aveva una spada lunga stretta in pugno, certo, ma rimaneva sempre un ragazzetto bifolco. Ridendo dentro di sé, Holger avrebbe voluto avere una divinità da ringraziare, per un’elargizione così pantagruelica di fortuna. Un ragazzo sghembo contro Holger Mannaia! Il titolo era suo prima di cominciare!
Il ragazzo si chiamava Willer e, a quanto Holger riuscì a capire dall’annuncio, era un figlio di coltivatori di miceti della cittadella, in cerca di denaro per far sopravvivere la famiglia. Nobili ideali, su cui Holger però avrebbe sputato. Il ragazzo non avrebbe visto l’alba successiva. Il gladiatore fece per lasciar cadere la mannaia sul pavimento calcareo. Poi ci ripensò. Poteva schiacciare il bamboccio con una mano sola, lo sapeva. Inoltre, c’era di mezzo la scritta sulla pergamena della mannaia. Tuttavia, la fame di vittoria oscurò tutto questo dalla mente di Holger Mannaia. Questi pensieri non li ascoltò più. In fondo era ferito in più punti, e stanco, e più vecchio del ragazzo. E mancava tanto così a fare suo il titolo. No, Holger Mannaia non voleva rischiare. Rinsaldò la presa sulla mannaia, fissando il ragazzino con espressione predatoria. L’araldo annunciò lo scontro. Il ragazzino scattò in avanti, mulinando la spada. Quasi con noia, sorridendo sardonicamente all’avversario, Holger sollevò lentamente la mannaia, pronto a parare il colpo. Il ragazzo calò la spada in avanti. Holger rise di gusto. Crack! La lama della mannaia andò in mille pezzi sotto l’urto della spada, spedendo schegge affilate a conficcarsi nella pelle esposta di Holger. Fu un attimo, e il sorriso di Holger si spense. Fu un solo istante, e l’incanto della mannaia si ruppe, fragoroso quanto lo sbriciolarsi della lama. Spalancando gli occhi per la sorpresa, Holger non ebbe il tempo di dire né pensare nulla. La spada proseguì la sua corsa, raggiungendo il torace del gladiatore, tranciando le cinghie di cuoio, aprendosi la via nella carne sottostante. Il sangue sprizzò a fiumi dal corpo sbrecciato di Holger. Willer ritirò la lama. Roteandola con forza sopra la testa, il giovane scagliò l’arma in avanti. La lama piena di tacche incontrò la gola di Holger, aprendola in due. Di colpo, Holger Mannaia non sentì più dolore, non udì alcun suono, non ambì più a niente. La voce della folla svanì dal suo orecchio, il viso dell’avversario sparì nell’ombra. Barcollante, Holger riuscì ancora a gettare uno sguardo tra la moltitudine.
Feyo, il suo servente, sputò a terra con disprezzo, scuotendo la testa. Elyadora lo guardava disgustata, come stesse fissando una putrida cloaca.
Con quest’ultima immagine impressa nella mente, disfatta infinitamente più immensa di quella sul campo, Holger rovinò a terra con un tonfo sordo. Era stato scritto. Era stato avvertito. La mannaia non doveva essere usata contro i più deboli. La magia aveva una sua lealtà. Lui, nella sua bramosia incontrollata, non l’aveva avuta. I suoi occhi si chiusero, mentre tutta l’arena, gioiosa, invocava Willer il vincitore.
Così morì Holger Mannaia, campione di Avlissen, che volle imporre il suo volere alla magia, che volle assoggettare a un trucco la fortuna, che volle troppo quando poteva avere con poco. Voi che ascoltate la sua storia, ricordatelo. E non burlatevi della fortuna, se non volete che sia essa poi a burlarsi mortalmente di voi.

Edited by Mariodm93 - 1/8/2011, 15:19
 
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Xantid88
view post Posted on 5/7/2011, 17:06




Lodi e critiche: entrambi miei personali pareri da semi-profano che lasciano il tempo che trovano, senza esaltare nè offendere nessuno :)

Simpatico, mi ha divertito. Divertenti gli scontri e il senso che l'autore/autrice ha voluto dare al racconto. Rimango perplesso per alcuni termini che ha usato, come se fossero stati cercati al momento sul dizionario (ed alcuni dei quali usati con un'accezione impropria). L'altra perplessità è logica: come può Holger, all'ultimo incontro dell'arena, aver incontrato un ragazzino? Si pensa che lo sfidante abbia battuto tanti avversari quanto lui (o almeno così mi è parso di capire, dato che si combatteva per il titolo di campione) e senza magia non avrebbe certo sconfitto ogre e mostri vari, dimostrazione del fatto che la lama lo ritiene più debole di Holger stesso. In ogni caso divertente.
 
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Nonno D'acciaio
view post Posted on 14/7/2011, 21:33




PREMESSA:
Le mie critiche ai racconti vogliono essere costruttive e, se possibile, aiutare gli autori a migliorare non solo il loro scritto ma anche il loro stile. Non sono nessuno e non mi credo chissaché ma penso che un parere sincero valga più di mille opinioni false o mezze parole.


Sorvolando molto blandamente sulle 70 e passa apparizioni della parola Holger in un testo di meno di 6000 battute... la trama risulta un poco banale, lineare, mai movimentata e quasi scontata anche nel finale. La descrizione è un piuttosto superficiale e nonostante sia in gran parte una narrativa d'azione i fatti si svolgono troppo velocemente. Il finale poi è poco pensato e anche le tesi che tentano di sorreggerlo sono piuttosto fragili. Una buona idea scritta un po' di fretta?
 
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Nauthiz7
view post Posted on 19/7/2011, 13:02




La lettura è stata faticosa a causa dei periodi lunghi e a volte contorti. Ho avuto la netta sensazione della presenza di tante, troppe parole! Molti aggettivi e similitudini per descrivere, calcare e (non ancora pago) ribadire descrizioni e concetti, rendendo la presenza dell’autore eccessiva rispetto alla storia. La scrittura risulta così pesante e mal si adatta al tema scelto, che richiederebbe invece uno stile più affilato, deciso, scarno ma efficace. “Fiammeggiarono di lucente opacità”: o fiammeggiano lucenti, o sono opache; anche qui c’è la sensazione che il racconto sia stato imbottito di aggettivi senza riflettere più di tanto sul loro senso e, soprattutto, sulla reale necessità di inserirli. Sono perplessa sull’uso di “baluginare” riferito a un suono, ma probabilmente è mia ignoranza. Molto brutto (questione di mio gusto) l’uso continuo di “Zwiss!” e anche l’apertura con “Graurgh!”, forse andrebbero bene per un fumetto, ma non è questo il caso. Per descrivere la danza di morte di Holger, avrei scelto qualcosa di diverso da “folletto dei boschi”, perché è nerboruto, altro un metro e novantacinque e assetato di sangue. Lo stile migliora un poco avvicinandosi alla fine, proprio perché si spoglia degli eccessi e lascia spazio alla narrazione, ma il finale è debole e poco credibile. Da quello che ho scritto potrebbe sembrare che abbia trovato il racconto fallimentare, invece credo che l'autore scriva bene, solo che dovrebbe liberare lo stile dalla zavorra per fargli prendere il volo suck_kr
 
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Deborah76
view post Posted on 23/7/2011, 17:40




Prima di commentare, vorrei fare una breve premessa (che per amor di uguaglianza replicherò in tutti gli altri commenti): leggerò tutti i racconti, e uno per volta li commenterò. La mia è solo un'opinione scanzonata senza pretese tecniche, nel rispetto dell'autore/autrice. Scrivere è mettere in luce un po' di noi stessi, perciò: un applauso a tutti!

Sono un po' perplessa riguardo lo stile, che sinceramente non saprei inquadrare in un commento. A tratti ho avuto come l'impressione che fosse schietto, diretto, bello pulito e senza fronzoli. A tratti invece mi sono trovata davanti lunghi periodi con descrizioni un po' ridondanti. Forse è ancora da rifinire, ma non me ne voglia l'autore o l'autrice, perché trovare un proprio stile narrativo, indipendentemente dall'ambientazione, non è facile e occorre tempo e allenamento. Lo dico per esperienza, visto che anch'io sono in costante sperimentazione. Mi permetto anche di dire che avevo lo stesso stile altalenante fino a non molto tempo fa. Ma forse è solo una mia impressione, o semplicemente questo stile non mi appartiene più.
Al di là di questo, il racconto mi ha divertita con i suoi personaggi così ben descritti e la morale alla fine. Belli i combattimenti, una cosa non facile da narrare, e anche solo per questo darei all'autore dei punti in più!
Bravo o brava. ^_^
 
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Angela1993
view post Posted on 30/7/2011, 21:25




Personalmente l'ho trovato un po' pesantuccio, ma forse è dovuto al fatto che non amo molto leggere i combattimenti ^_^
Per quanto riguarda lo stile devo dire che non mi è dispiaciuto. Sì, c'è qualcosina che sistemerei, ma in generale non mi sembra male. Una cosa che ho trovato carina è stato il narratore che alla fine si rivolge direttamente al lettore: una piccolezza che però mi è piaciuta ^_^
 
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5 replies since 30/6/2011, 23:40   119 views
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