Racconto: Destiny

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Mariodm93
view post Posted on 30/6/2011, 23:38




Destiny


di Maria Cristina Robb






Il sole del pomeriggio mi scalda la pelle, ma non riesce a sciogliere il gelo che mi porto dentro. Seduta a questo tavolino, guardo il giardino che si stende davanti a me.
A maggio è un caleidoscopio di colori, di suoni e di odori. Tutti i cespugli e i roseti sono in fiore e il profumo intenso dei tigli ti avvolge completamente, impossessandosi di tutti i tuoi sensi. Le rondini nel cielo si innalzano veloci, planano in picchiata e disegnano grandi cerchi e spirali, poi risalgono, su, verso le nuvole. Il canto degli uccelli sovrasta ogni altro suono, solo un trattore nel campo vicino riesce a penetrare nel loro denso tappeto musicale.
“Come sei fortunata!” mi dicono le amiche e io mi crogiolo nella loro invidia. Ho un bel marito, una splendida casa, un lavoro interessante e molto tempo libero per dedicarmi a ciò che mi piace. Cerco di ripetermelo, continuamente, e convincermi di come sto bene, di come sono felice. Ma dentro di me ho un buco nero che risucchia tutto, lasciandomi inerme e priva di emozioni. Seduta a guardare le mie rose, senza vederle.
Qualcosa di morbido mi sfiora una gamba. Un gattino tigrato si struscia contro la mia caviglia, miagolando sommessamente. Allungo una mano distratta a grattargli la testolina e poi, d’istinto, lo sollevo e me lo metto in grembo. La sensazione della sua pelliccia morbida sotto le mie dita sembra restringere il buio che mi attanaglia e mi illudo di poterlo sconfiggere, almeno per un istante.
Un lampo di luce intensa esplode sulle mie gambe e io vengo proiettata all’indietro con la seggiola. Serro le palpebre d’istinto. Un enorme peso grava sul mio petto e non riesco a respirare. Provo a tirare il fiato, a dilatare la cassa toracica, ma neanche un filo d’aria riesce a passare nei miei polmoni schiacciati.
“Guardami!”
Una voce imperiosa entra nella mia mente ed il peso sul mio torace scompare, lasciando lo spazio per inalare un gigantesco sorso di aria fresca.
Spalanco gli occhi e guardo la testa enorme di una tigre che mi fissa. È sopra di me, le zampe ai lati del mio corpo, gli occhi ferini inchiodati nei miei e le zanne scoperte dalle labbra arricciate.
Stringo d’istinto gli occhi: è un’allucinazione, un illusione, adesso sparirà!
E di nuovo il comando imperioso mi scuote la mente.
“Guardami!”
Riapro gli occhi e lo sguardo magnetico della belva mi imprigiona. Le iridi gialle sembrano creare un richiamo incantato e io rimango a fissarle ipnotizzata. Il nero delle pupille si dilata davanti a me, due profondi pozzi bui in cui precipito, privata di qualsiasi pensiero.

Sono ancora sdraiata con la schiena a terra e la seggiola sotto di me. Adesso sono immersa nel buio. Nessuna luce, nessun suono, il vuoto assoluto mi circonda. Solo un dolore lancinante e urente mi attanaglia le spalle e il petto. Mi tocco e mi accorgo di essere bagnata. Lunghi solchi paralleli mi lacerano la pelle, sanguinando sopra i miei vestiti. Probabilmente il marchio lasciato dagli artigli della tigre.
Mi sollevo seduta.
Una leggera corrente d’aria mi sfiora il viso e provo ad emettere un suono per capire dove sono. L’eco della mia voce risponde al mio richiamo. Intorno a me ci sono delle pareti, quindi.
Mi alzo e mi dirigo lentamente verso destra.
Allungo una mano davanti a me, brancolando cauta, un passo dietro l’altro e una superficie fredda e scabra urta contro le mie dite. Mi appoggio ad una parete e striscio lentamente verso il refolo di vento che continua a soffiarmi in faccia.
C’è un angolo e la mia mano incontra uno scalino. Avverto il fresco dell’aria sotto le dita e il mutamento della superficie che diventa liscia e tiepida. Continuo la mia avanzata e a tastoni trovo una maniglia. Provo ad abbassarla e a tirare, ma non si muove nulla. Incomincio allora a spingere, strattonare, scuotere, ma niente. La porta non si muove. Mi butto con tutto il peso contro di lei e provo ad aprirla a spallate e all’improvviso mi trovo riversa per terra al di là della soglia, travolta da un oceano di sensazioni che mi stordiscono.
Luci, rumori, odori, calore mi sommergono completamente come una gigantesca ondata di marea. Stringo gli occhi e cerco di respirare, mentre il dolore alle spalle si unisce a quello delle ammaccature della caduta.
Un passo leggero si avvicina e un lieve movimento mi trasmette la sensazione di una presenza vicino a me.
“Tutto bene?” chiede una voce profonda e musicale.
Io provo ad aprire gli occhi, ma la luce mi ferisce e non riesco a vedere chiaramente. Solo un alone nero, indistinto, mi dice che qualcuno è accovacciato vicino a me.
Tento ancora di aprire le palpebre. Pianio,piano gli occhi si abituano alla luminosità del giorno e riesco a vedere finalmente chi mi è di fianco.
Seduto sui calcagni c’è un uomo, nero come il buio che mi sono lasciata dietro.
Mi scruta con due occhi scuri, venati di pagliuzze dorate, e il lampo di un sorriso fa baluginare il bianco dei denti come un flash.
“Tutto bene?” ripete e io riesco solo ad annuire.
L’uomo è vestito come un selvaggio. Il torace nudo e i fianchi cinti da un corto gonnellino. Al collo porta una gorgiera di metallo grigio, tempestata di piccole pietre azzurre e lo stesso motivo si ripete nelle alte cavigliere e nei monili che gli circondano i polsi. I cappelli intrecciati fittamente sono raccolti in un massiccio chignon, alto sulla testa, trattenuto da un fermaglio circolare alla base, identico agli altri ornamenti.
Provo ad alzarmi e un piccolo gemito mi esce dalle labbra.
Lui allunga una mano per sfiorarmi i lunghi graffi sulle spalle e mi guarda comprensivo. La carezza delle sue dita, poi, si fa più attenta e una sensazione di calore si diffonde sulle ferite. Sussulto a quel contatto e istintivamente cerco di sottrarmi. Ma mi accorgo anche che il dolore lancinante si attenua, e lascia dietro di sé solo una lieve pulsazione. Mi rilasso e sospiro sollevata, sorridendogli in risposta.
Mi porge una mano per aiutarmi a rimettermi in piedi.
“Dove siamo?” gli chiedo.
“Questa è la Foresta della Soglia.” mi risponde con la sua voce flautata.
“La Soglia di cosa?”
“La Soglia di Destiny, il mondo creato dall’immaginazione degli uomini.”
Mi sorride e mi porge un frutto rosso.
Lo assaggio cauta e il sapore dolce ed intenso mi manda un brivido di beatitudine lungo la schiena.
“E tu chi sei?” gli chiedo, mentre mi succhio le dita per non perdermi neanche una goccia di quel paradiso.
“Sono un Guardiano. Aspetto i visitatori e gli faccio da guida.”
Mi invita a seguirlo con la mano e ci incamminiamo dentro la foresta, piena di strani alberi colorati carichi di frutti dall’aspetto invitante. Grandi fiori carnosi pendono dai rami, riempiendo l’aria di profumi esaltanti e sul sentiero cespugli ed arbusti dalle forme più strane ci costringono a diverse deviazioni.
La vita brulica tutta intorno a noi. Un ronzio continuo crea un sottofondo armonico alle diverse melodie che escono dalle chiome. Fischi sonori, suoni stridenti, uno strillo acuto e una cascata di note gorgheggiate, tutto sembra fondersi in un’unica musica per celebrare la gioia dell’esistenza.
Uno strambo volatile, con lunghe piume blu elettrico e il muso appuntito di un furetto, si appoggia sul bracciale del guardiano. L’uomo gli accarezza la testa e l’animale ronza sommessamente di piacere. Poi torna a spiccare il volo, librando in aria la lunga coda piumosa che si muove al ritmo delle sue ali.
Arriviamo al limitare della foresta.
Davanti a noi si stende una sterminata prateria erbosa, punteggiata di grandi cespugli, anch’essi carichi di frutti e fiori multicolori.
“Adesso puoi scegliere anche tu.” mi dice il guardiano e con un ampio gesto della mano indica tutto il mondo davanti a sé.
“Cosa dovrei scegliere?” gli chiedo.
“Se andare o restare.”
Mi guarda con un’aria di attesa negli occhi.
Andare o restare dove?
Il mio sguardo gli rivolge una muta domanda.
Lui sorride apertamente e si volta verso l’orizzonte.
“Andare o restare qui!” rivolgendosi nuovamente allo spazio aperto davanti a noi. “Se resterai ti porterò sulle spiagge del Mare Turbolento, dove ogni gorgo ti conduce verso un mondo differente. Visiteremo il deserto delle sabbie verdi, nato dalla Foresta Eterna polverizzata dalla Dea per stanare i suoi nemici e dove vive un saggio drago d’argento. Abiteremo nella Città dei Mille Sospiri, costruita sul fianco della Montagna di Madreperla, dove il vento passa dalle finestre e dai camini creando una melodia continua, come le canne di un organo gigantesco. Scaleremo i Picchi dell’Arcobaleno che assorbono la luce del sole e la irradiano sulle valli circostanti, come un gigantesco mantello multicolore. Ti porterò ancora più lontano, se deciderai di restare, a vedere tutto quello che l’immaginazione può creare e a dare vita tu stessa a mille altri mondi fantastici.”
Si gira e mi guarda con occhi luminosi e sognanti porgendomi una mano, come per invitarmi.
Non ho esitazioni. Gli allungo la mia e lui mi conduce fuori dal fitto degli alberi.
Un fischio acuto richiama due poderosi animali che ci raggiungono al limitare della foresta.
Due enormi tigri si fermano davanti a noi ed il guardiano mi aiuta a salire in groppa alla più grossa. Io tremo dalla paura, ma il contatto con il calore di quel corpo potente mi rasserena.
“Tieniti stretta!”
Dentro la mia mente si formano le parole e riconosco il tono deciso della fiera che mi ha portata qui. Io mi stringo forte al suo collo e appoggio una guancia su quella morbida superficie.
La tigre parte con grandi falcate verso l’orizzonte, mentre l’euforia del viaggio esplode dentro di me. Il potere dei suoi muscoli sotto le mie gambe, il vento sferzante tra i capelli e il contatto con il soffice pelo dorato scacciano definitivamente il vuoto che mi sono portata dietro.

Il giardiniere stava distribuendo il veleno sulle rose quando si accorse della donna riversa a terra.
Era sdraiata con la schiena a terra, la seggiola ancora sotto di lei. Due lunghe strie insanguinate le solcavano le spalle, scendendo a creare due sentieri cremisi che conducevano fino al seno. L’uomo le toccò la mano gelata e comprese che se n’era già andata.
L’unica cosa che non sarebbe mai riuscito a dimenticare era il sorriso sereno che le aleggiava sulle labbra, come se la fine fosse stata accolta come una grande amica.

Edited by Mariodm93 - 1/8/2011, 15:16
 
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Xantid88
view post Posted on 3/7/2011, 10:44




Lodi e critiche: entrambi miei personali pareri da semi-profano che lasciano il tempo che trovano, senza esaltare nè offendere nessuno :)

Ottimo racconto. E' una lettura intensa, con una trama lineare ma profonda. Le figure evocate le trovo estremamente vivide, assolutamente ben strutturate ... forse troppo. La sensazione, soprattutto nella prima parte del racconto, è quella di stare leggendo una poesia. I termini così minuziosamente ricercati sono fantastici (personalmente sono un cultore della parola), ma a mio avviso rendono il racconto pastoso da digerire. La grande tecnica dell'autore/autrice forse è troppo rimarcata ... ma questo resta un racconto "dal sapore dolce e intenso [...] del frutto rosso".
 
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Daisy Dery
view post Posted on 19/7/2011, 22:00




Uno stile molto personale e ricercato è quello che mi ha colpita di più in questo racconto.
La seconda parte è molto vivida e pare di trovarsi di fronte il guardiano.
Complimenti all'autore-autrice :D
 
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Nauthiz7
view post Posted on 20/7/2011, 13:15




Premetto che quanto sto per commentare potrei benissimo rivolgerlo a me stessa, poiché mi riconosco in questo difetto: presenza di frasi stereotipate come “gelo che mi porto dentro”, “dentro di me ho un buco nero”, “buio che mi attanaglia”, “dolore lancinante che mi attanaglia”, “profondi pozzi bui in cui precipito”. Come detto, io stessa le ho usate molte volte e, prima di noi, chissà quanti altri. Sono parole che sgorgano spontanee e rendono benissimo l’idea, difatti sono inflazionate.
In generale, in questo racconto trovo una grande enfasi descrittiva e poca sostanza. La parte centrale (la più corposa) è pura telecronaca, sebbene molto ben fatta. La protagonista mi appare come il personaggio di un videogame che l’autore muove con comandi secchi e precisi: “Sono ancora sdraiata… adesso sono immersa… mi sollevo… mi alzo… allungo una mano… mi appoggio… continuo la mia avanzata…”. Nemmeno una parola spesa per delineare la psicologia del personaggio (si sa solo che è infelice, ma non perché), i suoi moti interiori, le emozioni che la scuotono, solo un tardivo e laconico “travolta da un oceano di sensazioni che mi stordiscono” (ps: l’ho usato anch’io…): io avrei tanto voluto sapere che sensazioni, come ti stordiscono, perché le provi. Anche i dialoghi mi sembrano deboli. Non lo dico per infierire, ma perché dai bravi si pretende sempre qualcosa in più. Ora però mi viene in mente che ad altri lettori le emozioni sono arrivate e ho il dubbio che allora la mia sia una questione di gusto.
 
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Deborah76
view post Posted on 23/7/2011, 10:07




Prima di commentare, vorrei fare una breve premessa (che per amor di uguaglianza replicherò in tutti gli altri commenti): leggerò tutti i racconti, e uno per volta li commenterò. La mia è solo un'opinione scanzonata senza pretese tecniche, nel rispetto dell'autore/autrice. Scrivere è mettere in luce un po' di noi stessi, perciò: un applauso a tutti!

Bellissimo racconto, ottima narrazione, carica di poesia, sì, ma senza annoiare, gradevoli i dialoghi, semplici e schietti, ma non banali. Ho apprezzato particolarmente l'invito che fa il Guardiano, descrivendo il mondo di Destiny su cui avrei letto volentieri di più. ;) Mi è piaciuto molto, complimenti!
 
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Nonno D'acciaio
view post Posted on 23/7/2011, 14:31




PREMESSA:
Le mie critiche ai racconti vogliono essere costruttive e, se possibile, aiutare gli autori a migliorare non solo il loro scritto ma anche il loro stile. Non sono nessuno e non mi credo chissaché ma penso che un parere sincero valga più di mille opinioni false o mezze parole.

Certamente Nauthiz7 ha ragione quando parla del fatto che "Nemmeno una parola spesa per delineare la psicologia del personaggio". Devo però dire in difesa del racconto che il fine ultimo del racconto non è sempre e solo delineare psicologie dei personaggi attraverso l'esplicitazione delle stesse. Qui il racconto infatti verte sul fatto che ben poco del personaggio si vuole sapere perché ben poco è importante: ci troviamo in un mondo fantastico al confine tra morte e fantasia e non credo che gli elementi della vita reale della donna siano importanti anzi, sarebbero del tutto superficiali. L'analisi dei pensieri poi è anch'essa del tutto superflua visto che la narrazione, in questo racconto, sembra essere pura descrizione descrizione fotografica e traduzione dei pensieri adiacenti alla morte in qualcosa di concreto come l'attraversamento della Soglia e l'inizio dell'esplorazione di un mondo sconosciuto. Personalmente l'ho trovato uno dei migliori racconti del concorso con una narrazione visivo-simbolica e una ricercatezza dei vocaboli preziosi ma totalmente esatti, cose che a un grande lettore di libri non per bambini fa sempre molto piacere. Nonostante questa ricercatezza dei termini il racconto rimane comunque sobrio, leggibile e sempre scorrevole.
L'unico difetto che mi sento di sollevare è la confusione provocata nel lettore durante il passaggio dal graffio, alla caduta, al risveglio. Qui le situazioni si amalgano mischiandosi tra di loro (la donna è sdraiata per terra con sotto la sedia ma è anche sdraiata sul pavimento nudo di una stanza dato che si mette a sedere zac, coì, senza neanche una mezza parolina su dove è finita la sedia) ma questo è solo un piccolo dettaglio. Ottimo racconto dall'inizio alla fine.
 
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Angela1993
view post Posted on 24/7/2011, 14:17




L'idea di base del racconto del legame tra il mondo della fantasia e la morte della protagonista è meravigliosa, però mi sento in concordare in tutto e per tutto con quanto già espresso da Nauthiz7. La descrizione iniziale mi è piaciuta molto, ma poi, andando avanti, mi sono resa conto che l'intera narrazione resta puramente descrittiva. Forse è stata una scelta volontaria dell'autore/autrice, ma personalmente è una cosa che cercherei di evitare, anche perchè credo che la descrizione, anche usata come sequenza narrativa, non esclude necessariamente l'introspezione. Gli elementi possono benissimo fondersi l'uno nell'altro, e anche in questo caso si sarebbe potuto fare. Lo dico dichiarando apertamente che questo è un problema che mi capita di riscontrare anche nei miei scritti. Capita di cominciare a scrivere di getto, presa da qualche ispirazione improvvisa, e poi rendermi conto, al momento della rilettura, che ciò che ho scritto non è che una fredda descrizione di fatti, che non riesce a trasmettere le sensazioni che vorrei, come se fosse una bozza preparatoria. E allora devo revisionare, inserendo tutto ciò che nella foga di scrivere mi è sfuggito, forse perchè già chiaro nella mia mente. In questo racconto mi sembra di riscontrare la stessa cosa. Per carità, bellissima l'idea e un lessico ben utilizzato, però con un lavoro più approfondito si sarebbe potuto trasmettere di più.

Edited by Angela1993 - 24/7/2011, 15:36
 
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