Racconto: C'era una volta un punk

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Mariodm93
view post Posted on 30/6/2011, 23:35




C'era una volta un punk


di Fabio Brusa






Il senso del gusto lo aveva abbandonato da diversi anni. O forse Carlos non l'aveva mai avuto: nato e cresciuto nello sprawl della Greater London non aveva assaporato altro che birra sintetica e barrette energetiche aromatizzate, ed entrambe avevano lo stesso sapore del polistirene. In fondo, in quella fogna urbana a cielo aperto, l'ultima cosa di cui gli importava era di sentire i sapori. I soldi, ecco cosa contava. La vita e i soldi, non necessariamente in quest'ordine.
Era stato sbattuto fuori a calci dal Rosendal, il pub di un irlandese dal cervello guasto. Nonostante lo zigomo tumefatto che aveva rimediato si rialzò, si stropicciò i pantaloni lerci e tirò fuori dalla tasca un portafogli. Ci trovò dentro una manciata di banconote, sufficienti per i prossimi cinque o sei pasti. Se li mise in tasca e lanciò il portafogli marchiato EN nella spazzatura.
Il cielo era nero come fumo e in un attimo cominciò a piovere a dirotto. Carlos bestemmiò in spagnolo per il bruciore di quell'acqua malsana sulla pelle e si costrinse a fermarsi sotto una tettoia, all'angolo di un vicolo, al fianco dell'insegna al neon di un sexy-shop.
Il PDA da polso si illuminò. Sullo schermo comparve l'icona di una e-mail ricevuta. Carlos diede un'occhiata e con un leggero stupore vide l'avatar di Alan.
«Vieni da me, ho un lavoro che son sicuro ti interesserà» gli disse il volto computerizzato. Gli scappò da ridere: quell'inutile netrunner di Alan lo stava cercando ancora. L'ultima volta lo aveva imbrogliato per bene senza nemmeno che se ne accorgesse. Era veramente abile a muoversi nella rete ma per l'ispanico rimaneva un perfetto imbecille. Tanto meglio, pensò, così avrebbe recuperato facilmente altro denaro.
Il buco di Alan si trovava ad un paio di isolati di distanza, vicino ad una banca d'organi, verso la zona controllata dai russi. Appena la pioggia battente diede un attimo di tregua Carlos si gettò per le stradine, muovendosi con sicurezza e senza badare a nessuno. Così era sopravvissuto nell'inferno cittadino che qualcuno si ostinava a chiamare casa, ossia stando fuori dagli affari degli altri. Ovunque e costantemente c'era l'occasione per perdere la vita. Nei soli due isolati che percorse si imbatté in una sparatoria fra drogati, finita con un punk dai tatuaggi fluorescenti steso a terra nel suo stesso vomito e sangue. Nel vicolo sul retro del Clam, una tavola calda gestita da due sorelle armate, con la coda dell'occhio notò due energumeni che facevano a brandelli un cadavere. Stavano recuperando qualcosa di vendibile. Lì ignorò, come sempre. C'erano già abbastanza guai senza bisogno di andare a cercarseli, si ripeteva. Arrivò così di fronte alla palazzina dismessa del netrunner alle quattro del pomeriggio, immerso in una oscurità rischiarata solo da lampi di insegne dubbie e mal funzionanti.
Al piano interrato si accedeva tramite una breve scalinata in cemento. Non c'era anima viva. Carlos sapeva cosa aspettarsi, aveva trattato spesso con vari netrunner e soprattutto con Alan. Spalancò la porta di servizio e si ritrovò in uno stanzone buio e pieno di macchinari in movimento.
A prima vista aveva l'aspetto di un laboratorio industriale, forse di prodotti chimici. Braccia meccaniche trasportavano piccoli flaconi al miscelatore, mentre veniva distillato qualcosa in un apparecchio appoggiato sul tavolo alla sinistra dell'entrata.
«Cordis» lesse sullo schermo. Un rumore pneumatico improvviso alle sue spalle catturò la sua attenzione.
«Hai fatto presto.» La voce elettrica era quella di un computer. Ovviamente Alan non si trovava in quel posto: per nessun motivo avrebbe mai permesso a qualcuno di scoprire dove si trovava il suo corpo fisico. Un drone fluttuante offriva a Carlos un viso da guardare mentre discutevano.
«Mi trovavo nei paraggi. Cos'è questa roba?»
«Tossine alle quali sto lavorando.»
«Ti sei attrezzato bene. Non avevi così tante cianfrusaglie l'ultima volta.»
«Anche io lavoro sai? In ogni caso, dato che sei qui immagino tu sia interessato a fare un lavoretto.» La voce sintetizzata della macchina non aveva inflessioni né accenti, tanto meno lasciava trasparire una qualsivoglia emozione. Questo a Carlos non piaceva, abituato com'era a trattare faccia a faccia con le persone. In questo modo era più difficile imbrogliare e capire se si veniva imbrogliati.
«Di che si tratta questa volta?»
«Una cosa estremamente semplice.» Il drone fluttuò fino ad un banco di lavoro appoggiato all'impianto principale.
«Non esiste nulla di estremamente semplice.»
«Se lo dici tu. Quello che ti chiedo è solamente di andare a ritirare un certo pacchetto e di portarmelo. Ti darò la chiave della cassetta di sicurezza, non incontrerai nessun imprevisto.»
Carlos aggrottò la fronte. «Tutto qua?»
«Me lo devi portare entro quattro ore. La banca in ogni caso è la Marshall, al massimo ad un'ora di strada.»
L'ispanico rimase in silenzio. Gli parve tutto strano, in qualche modo sottilmente pericoloso. «Per una cosa così stupida non serviva nemmeno chiamarmi. Vacci tu.» Voltò le spalle e si diresse lentamente alla porta.
«Ti pago diecimila bigliettoni.»
Carlos in fermò.
«Perché mai», disse senza voltarsi, «dovresti darmi tutti quei soldi per andare a prendere un oggetto di cui hai già la chiave?»
«In questo momento io sono a Detroit e tu sei l'unico corriere che abbia lavorato per me abbastanza a lungo da instaurare un minimo di fiducia.»
Un paio di istanti in silenzio e Carlos si voltò di nuovo. La spiegazione poteva andare. Tornò verso il drone, fluttuante al fianco di un tavolo da lavoro.
«Devo dedurre che accetti?» disse la voce computerizzata.
«Facciamo in fretta.»
«Perfetto.» Il drone, senza preavviso e con una rapidità disarmante, fece fuoriuscire dal suo corpo metallico un'appendice appuntita che si conficcò nel collo di Carlos. Il tutto durò meno di un secondo, leggero e fulmineo come una puntura di vespa.
«Cabròn! Che cazzo è questo?» Carlos si portò la mano al collo.
«Non pensavi mica che ti avrei lasciato andare in giro con il mio libro senza avere addosso un segnale di localizzazione vero?» Il sarcasmo era a malapena percepibile dalla voce del drone, il ché lo rendeva in qualche modo inquietante.
Carlos si massaggiò il collo. «Libro?»
«Si, è questo ciò che devi recuperare. Si trova nella cassetta di sicurezza numero 402, alla Marshall Bank. Questa è la chiave.» Con un'appendice il drone indicò sul tavolo da lavoro una scheda. Carlos la prese e se la mise in tasca.
«Altro?» commentò impaziente.
«Nulla. Vai, recupera il libro e riportamelo. Cinquemila adesso e il resto alla consegna, ed ovviamente ti toglierò anche il chip di localizzazione.»
«Prepara la grana.» Al suono dei suoi passi pesanti Carlos abbandonò la stanza.
Fuori aveva smesso di piovere e le strade erano permeate da un odore acre. Si diresse al suo lercio appartamento per togliersi i vestiti di pelle ed indossare qualcosa che gli permettesse di entrare in una banca. Man mano che il tempo passava però gli si allargava un sorriso sul volto.
«Se quell'idiota mi da tutti quei soldi per un lavoro che potrebbe fare chiunque» si disse, «vuol dire che il libro ne vale almeno dieci volte tanto.»
Passò in bagno a farsi la barba. Aprì l'armadietto e dentro, oltre a droghe varie, vi trovò una pistola chirurgica. Se la puntò al collo, dove il drone lo aveva infilzato, e premette con forza. Sentì uno strappo doloroso e vide il sangue scendere in un rigolo, ma sulla punta della pistola ci trovò il chip.
«Così mi sento un po' più libero.» Rise infilando il chip nella valigetta con la quale avrebbe ritirato il libro. Pensò per un istante che era stato fin troppo facile togliersi quel segnalatore ma passò oltre.
Sceso in garage, ora vestito con una camicia di syntecotone, saltò sulla sua Honda due ruote e sgommò a tutta velocità verso la destinazione.
Il piano era semplice. Se fosse andato tutto bene sarebbe stato il suo ultimo imbroglio, poi avrebbe potuto lasciare la Greater London. Alan il netrunner voleva un libro e lui glielo avrebbe dato. Si fermò in uno dei negozi di una nota catena di fai-da-te e chiese duecento fogli di syntecarta e un duplicatore spray. Pagò la syntecarta un occhio della testa; non c'era da meravigliarsi che nessuno usasse più quell'insulso materiale. Con il duplicatore, che di solito veniva usato per riverniciare muri, ringhiere e mobili, avrebbe riprodotto al volo le prime pagine e la copertina del libro che stava andando a recuperare. Avrebbe rifilato quelle ad Alan, sicuro del fatto che non avrebbe notato la differenza. O perlomeno se ne sarebbe accorto quando ormai era troppo tardi.
In poco più di un'ora e mezza fu davanti alla Marshall Bank. Posteggiò ed inserì il sistema di sicurezza della moto. Come fosse un rispettabile uomo d'affari impugnò la sua ventiquattrore ed entrò nell'edificio.
Si ritrovò per qualche istante spiazzato: non conosceva affatto il mondo della cosiddetta “gente perbene”. Aveva lasciato lo sprawl e con esso l'odore di carcasse e olio motore. Qui tutti apparivano così sicuri, stretti nelle loro morbide cravatte, ignari che la fine poteva arrivare in qualsiasi momento. Era un mondo troppo diverso perché un uomo dello sprawl come Carlos potesse coglierne al volo le sfumature.
Spense a forza le preoccupazioni e si diresse allo sportello, dove una biondina dai tratti orientali gli diede il buongiorno.
«Devo prelevare da una cassetta di sicurezza» si sbrigò a mettere in chiaro Carlos.
«Certo signore. Posso vedere la sua tessera?»
Una volta convinta, la ragazza gli disse di seguirla. Gli fece attraversare una prima fila di porte stagne antifurto, facendolo accedere ad uno stanzone protetto dove file e file di armadi blindati contenevano le ricchezze di mezza città.
«Quando ha finito può uscire senza problemi» gli spiegò la biondina. Poi lo lasciò solo.
Carlos si sentì per un attimo come nella caverna del tesoro. Immaginò ricchezze d'ogni genere a portata di mano, separate da lui solo da una sottile, ma alquanto impenetrabile, lastra di metallo. Tenendo a bada l'eccitazione cercò la sua cassetta, la 402. Prese la tessera magnetica e l'aprì.
Ritrovatosi faccia a faccia con il contenuto, ne rimase quasi deluso. Sapeva cosa era andato a recuperare ma alla vista di quel piccolo, malconcio diario si sentì sprecato. Lo prese in mano: la sua copertina nera era sicuramente in pelle vera. All'esterno era senza scritte e per curiosità aprì la prima pagina. Diario di Alister Keane. Lo sfogliò al volo, scoprendo che era stato scritto interamente a mano. Perplesso e senza molto interesse aprì la valigetta e lo posizionò all'interno, al fianco della risma di carta che aveva comprato. Si guardò attorno, poi estrasse il duplicatore spray dalla tasca e fece il primo tentativo. Con il puntatore laser che inquadrava la copertina del vero diario il beccuccio spruzzava un inchiostro nero che si attaccava alla carta bianca facendola diventare una copia perfetta dell'originale. 'Alan ci cascherà come al solito' pensò Carlos, completando l'opera. In pochi minuti aveva riprodotto l'esterno del diario e una ventina di pagine all'interno. Al resto della carta bianca aveva dato una spruzzata veloce per ingannare un occhio poco attento. Soddisfatto, chiuse la copia nella valigetta e si mise nella tasca interna della giacca l'originale. Lasciò il duplicatore nella cassetta di sicurezza, richiuse il tutto e si avviò all'uscita.
Era stato incredibilmente semplice. Nemmeno lui poteva credere di aver fatto così poca fatica per fare quel lavoro ben pagato, oltre all'imbroglio. Arrivato alla moto sollevò il sedile e nascose nel vano portabagagli il diario originale e la valigetta. Sorridente e pieno di sé si rimise in sella. Ingranò la marcia con grinta e si rimise in strada, sfrecciando tra le auto ferme del traffico congestionato.
Attraversò l'area urbana della middle-city, stando attento una volta entrato nello sprawl a non farsi ammazzare. Per lui significava tornare a casa, non erano i pericoli che conosceva a preoccuparlo. Pensò alla valigetta che aveva sotto la sella. Volendo la poteva lasciare in qualsiasi posto: Alan aveva messo un chip solo a lui, strano che non gli avesse consegnato anche un contenitore tracciabile.
Quel pensiero gli scavò la mente come un tarlo mentre percorreva le stradine piene di ambulanti, spazzatura ed individui che alla sola vista della sua camicia e delle sue scarpe eleganti gli lanciavano sguardi omicidi.
Arrivò al palazzo di Alan con mezz'ora di anticipo. La musica elettronica e il rumore di macchinari pesanti erano talmente assordanti da far dolere le orecchie. Carlos posteggiò nel vicolo, recuperando da sotto la sella la valigetta con la finta copia del diario. Fece per girarsi ma con la coda dell'occhio notò qualcosa di strano. Anche una volta tolta la chiave il sistema di sicurezza non si era inserito. Premette per inserirlo manualmente. Nulla. Per qualche motivo il sistema sembrava inceppato. «Joder» imprecò Carlos nella sua lingua madre. Sarebbe tornato in un batter d'occhio, quello era un problema trascurabile.
Ripercorse i corridoi imbrattati che ormai conosceva come le sue tasche ed irruppe nel laboratorio meccanizzato di Alan.
«Ehi» gridò, con lo sguardo perso nel buio. «Ho qua la tua roba.»
Il drone di Alan sbucò all'improvviso da dietro uno schermo e fluttuando a mezz'aria gli si avvicinò.
«Fantastico, hai fatto proprio in tempo» disse con la sua voce sintetizzata.
«I soldi?»
«Posso prima vedere il libro?»
Carlos giocava a fare il duro e non avrebbe fatto trasparire alcuna emozione. Controllò sul suo PDA da polso i movimenti sul suo conto. Metà del lavoro era già stato pagato. Aprì così la valigetta, lasciando che la telecamera del drone guardasse la copia parziale che aveva fatto con dei semplici strumenti di bricolage.
«Ottimo, ottimo» disse la vocina robotica.
Carlos aveva fretta, voleva andarsene il prima possibile. «Allora i soldi?» Stringeva ancora la valigetta e il suo contenuto tra le mani.
«Come sempre te li caricherò subito sul tuo conto. Lascia la valigetta al drone.»
Con un attimo di titubanza Carlos appoggiò la ventiquattrore sul braccio minuto del robot che subito sparì tra la strumentazione del laboratorio. Rimase una trentina di secondi a guardarsi attorno, sudando freddo. All'improvviso una lucina sul suo PDA: il trasferimento della seconda parte del pagamento era appena stato effettuato.
«Hasta la vista, Adam» sussurrò Carlos con un gran sorriso. In un istante si era già lasciato il laboratorio alle spalle.
«Ce l'ho fatta» si disse, euforico come poche altre volte. Aveva tra le mani un libro in vera carta che doveva valere dieci volte quello che gli era appena stato pagato per recuperarlo. Ed era stato talmente semplice ingannare quell'idiota di un netrunner che quasi Carlos provò rimorso per non averne approfittato di più. Magari sarebbe riuscito a farsi pagare il doppio, o magari gli avrebbe potuto sottrarre qualche buon prodotto tecnologico da rivendere sottobanco. Quel che era fatto era fatto e non gli rimaneva che andarsene da quella fogna di città per cercare un compratore.
Girato l'angolo però, oltre lamiere e bidoni dell'immondizia, non rivide la sua moto. Rimase un istante intontito, poi scattò: l'aveva lasciata proprio lì ed ora non c'era più.
«Mierda!» gridò, ma quel che ne uscì non era la sua voce. Assomigliava più ad uno stridulo grido senza fiato. Cercò di inumidirsi le labbra, di deglutire, ma sentiva la bocca e la gola così secchi da creparsi come terra nel deserto.
«Che succede?» Non riuscì a pronunciare nemmeno queste parole, mentre cadeva lentamente sulle ginocchia. Le forze gli stavano mancando. Si stava sentendo male.
Con le mani alla gola sentì un suono, un avvertimento dal suo PDA. Lo guardò e con terrore vide che era appena stato eseguito uno spostamento di tutti i suoi guadagni su un conto criptato.
Volse lo sguardo verso il palazzo grigio. «Alan» disse a mente. Quell'infido netrunner lo aveva appena derubato. Ma che senso aveva? Perché fare una cosa del genere? Lui gli aveva portato il libro … Si era accorto del falso? Carlos era sicuro di no. Eppure in quel momento gli passò per la testa la possibilità che fosse stato lui a rubargli la moto. Il sistema di sicurezza inspiegabilmente non si inseriva. Se il netrunner si fosse infilato nella centralina della due ruote? La avrebbe potuta guidare in automatico in quel suo laboratorio da pazzoide, dove distillava quelle malate tossine …
All'istante, fulminato da un'idea, gli occhi di Carlos divennero vitrei. Adam distillava tossine, gliene aveva mostrate più volte negli anni, anche quello stesso pomeriggio. Il chip, quello di segnalazione, quello che era venuto via con estrema facilità: poteva in realtà il drone avergli iniettato solo una tossina e nessun segnalatore? Ma come poteva pensare Adam di avvelenarlo quando lui sarebbe potuto scappare con la refurtiva?
Le forze gli sfuggivano dal corpo come un pugno di mosche. Carlos si accasciò al suolo, con il respiro ormai ridotto ad un rantolo. Sentiva i muscoli intorpidirsi ed il suo cuore mancare un battito o due. Maledisse la sua avidità, maledisse la sua vita e il momento in cui aveva deciso di sottrarre al netrunner sia i soldi che il bottino. Alan lo sapeva, aveva imparato a conoscerlo negli anni. Avrebbe potuto facilmente immaginare che una mente dedita solo ai guadagni come quella di Carlos avrebbe subito tentato di fregarlo se gli avesse proposto un lavoro semplice altamente retribuito. Era forse così un sempliciotto? La risposta era ormai nel suo sangue, nel suo cervello, nei suoi reni. Realizzò che Alan gli aveva iniettato una tossina ad effetto ritardato, per questo gli aveva chiesto di fare in fretta. Nessun controllo era necessario: per accaparrarsi tutto il bottino lui sarebbe tornato alla base. Tenendo sotto controllo invece la motocicletta poteva sapere la sua posizione e probabilmente anche dello scambio. Non doveva fare altro che aspettare che il piccolo, ingenuo Carlos tornasse per il suo ultimo imbroglio. Con la testa poggiata sull'asfalto umido e un rivolo di sangue che gli sgorgava dalla bocca, l'ispanico si chiese se avesse vissuto da grande ladro, nell'anarchia totale a cui aveva votato la sua vita punk, se qualcosa nella sua esistenza avesse potuto avere un senso.
Probabilmente la risposta è no.

Edited by Mariodm93 - 1/8/2011, 15:11
 
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Xantid88
view post Posted on 3/7/2011, 11:42




Lodi e critiche: entrambi miei personali pareri da semi-profano che lasciano il tempo che trovano, senza esaltare nè offendere nessuno :)

Ritmi veloci, per nulla noioso, uno stile che si adatta bene all'ambientazione futustica a classi di una fantascienza credibile. Mi ha piacevolmente colpito il finale (forse un po' brusco) che lascia intendere una trama di imbrogli e inganni, difficile da rendere in un racconto. Non posso però astenermi da una considerazione: è un racconto e quindi, per definizione, breve, nel quale non si possono cogliere tutte le sfaccettature della trama di più ampio respiro che questa ambientazione ricrea. Ma è cyberpunk vero? O perlomeno una cosa simile. Una voce fuori dal coro: cyberpunk italiano, fantastico. Avrei preferito scoprire di più su questa "Greater London" decadente, in ogni caso complimenti all'autore/autrice.
 
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Nauthiz7
view post Posted on 15/7/2011, 16:03




Mi è piaciuto, lo trovo scorrevole, con buon ritmo, tempi giusti. Forse in alcuni punti insiste troppo su alcuni passaggi, nel senso che specifica senza lasciare spazio all’immaginazione, in un’ansia di trasmettere al lettore le cose esattamente come le sta vedendo l’autore. Alan si trasforma a un certo punto in Adam… L’ambientazione, nonostante le poche battute a disposizione, è molto buona e rende perfettamente l’idea. La fine non mi è piaciuta molto, soprattutto i ragionamenti di Carlos, scritti con uno stile un po’ troppo “da libro stampato” per calare il lettore in quello che dovrebbe essere il suo smarrimento e poi l’amarezza per la scoperta della beffa (e che beffa!). Non rendono assolutamente l’idea di quello che prova Carlos in quel momento. Una cosa soprattutto non mi ha convinta alla fine: Alan si dà tanto da fare per ucciderlo solo perchè ha cercato - molto goffamente - di fregarlo? Speravo in un motivo più "succulento". laser
 
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Nonno D'acciaio
view post Posted on 15/7/2011, 17:11




PREMESSA:
Le mie critiche ai racconti vogliono essere costruttive e, se possibile, aiutare gli autori a migliorare non solo il loro scritto ma anche il loro stile. Non sono nessuno e non mi credo chissaché ma penso che un parere sincero valga più di mille opinioni false o mezze parole.

Sono per lo più d'accordo con l'amico Nauthiz7: sostanzialmente un ottimo racconto con una piccola serie di sbavature all'interno ma un abbondante problema di finale. I personaggi e le loro caratterizzazioni sono ben delineate, così come la maggior parte dei dialoghi. LE ambientazioni sono ottime e ben descritte, naturalmente per quanto approfondite possano essere in un racconto.
Ci sono piccole imperfezioni grammaticali qua e là che spezzano il ritmo come ad esempio: "ma sulla punta della pistola ci trovò il chip". quel CI è una ripetizione bella e buona.
Peccato per il finale perché in tutto il racconto la narrazione si svolge in maniera abbastanza superficiale, senza mai entrare approfonditamente nei dettagli di pensiero e nella parte finale, li dove entra nel vivo dei pensieri, dove si approfondisce il ragionamento per chiudere il cerchio della narrazione, diventa carente, poco coerente e a tratti difficile da assimilare.
Peccato. In ogni caso mi pare un buon lavoro.
 
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Deborah76
view post Posted on 24/7/2011, 16:07




Prima di commentare, vorrei fare una breve premessa (che per amor di uguaglianza replicherò in tutti gli altri commenti): leggerò tutti i racconti, e uno per volta li commenterò. La mia è solo un'opinione scanzonata senza pretese tecniche, nel rispetto dell'autore/autrice. Scrivere è mettere in luce un po' di noi stessi, perciò: un applauso a tutti!

Ritmo incalzante, narrazione veloce, ottimi personaggi e descrizioni, dialoghi efficaci. In più, ambientazione cyberpunk che in Italia si vede poco ma personalmente apprezzo molto. Però... il finale? Mi lascia perplessa e con un po' di amaro in bocca, purtroppo. Mi sembra come troppo affrettato, un po' scialbo rispetto al resto dell'ottimo racconto.
In generale mi è piaciuto moltissimo, solo avrei preferito un lavoro più accurato sulla fine.
Complimenti comunque, potrebbe nascerne un romanzo davvero interessate! ^_^
 
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Angela1993
view post Posted on 31/7/2011, 13:15




Purtroppo devo concordare con quanto si è già detto sul finale, ed è un peccato perchè si viene così a "rovinare" un racconto con ottimo potenziale... :(
L'unica pecca che mi sento di sottolineare, perchè per il resto l'ho trovato parecchio interessante sia nella storia che nell'ambientazione, e scritto in maniera fluida e intrigante :D
 
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Deborah76
view post Posted on 2/8/2011, 14:44




Ancora complimenti, Fabio! :lol:
 
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6 replies since 30/6/2011, 23:35   211 views
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