Racconto: Accadde una notte

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Mariodm93
view post Posted on 30/6/2011, 23:30




Accadde una notte


di Claudio Paganini






Piove. Grosse gocce d’acqua cadono pesanti, lente, una dopo l’altra. Il cielo non promette niente di buono; lampi improvvisi illuminano il mare all’orizzonte e cominciano ad arrivare i sordi brontolii dei primi tuoni. Ancora mezz’ora di piantonamento e poi inizierò il servizio notturno vero e proprio; un’altra notte intera da passare a controllare negozi, fabbriche, abitazioni mentre la pioggia incessante mi ridurrà peggio di un pulcino appena nato.
Alle 22. 30 tutto è pronto e, con sollievo, noto che la pioggia sta diminuendo d’intensità; salgo in macchina e per un istante rimango ad ascoltare il rumore della spazzola del tergicristallo che si mischia al ritmico tamburellare delle gocce di pioggia. In quei pochi secondi di concentrazione sono preso da una strana sensazione, una sorta di presentimento, uno stato di leggera ansia che allerta immediatamente tutti i miei sensi.
Accendo la radio e, come tutte le sere, sintonizzo la frequenza sulla mia consueta stazione radiofonica. Tra poco trasmetteranno il notiziario di mezzanotte e poi “La notte dei misteri”, il programma che preferisco, quello che mi terrà compagnia fino alle cinque e mezza di domani mattina. Inizia così la nottata lavorativa: ogni notte non è mai uguale alla precedente ed è forse questo l’aspetto del mio lavoro che mi piace di più. Continuo il mio solito giro, saracinesca dopo saracinesca, volgendo ogni tanto lo sguardo al cielo. Se tutto va bene, forse, stanotte non pioverà più.
A mezzanotte e mezza inizia puntualmente la trasmissione che stavo aspettando mentre uno scroscio di pioggia improvviso mi costringe a cercare riparo sotto la pensilina di un distributore di carburanti, in barba a tutte le mie previsioni. E lì, attraverso i vetri che lentamente si stanno appannando, la vedo.
Sta cercando di non bagnarsi anche se il microscopico ombrello, che tiene aperto davanti a se, non può fare molto contro l’acquazzone che si è appena scatenato. Finalmente raggiunge il gabbiotto della fermata dell’autobus e si guarda i vestiti scuotendo la testa in modo sconsolato; i lunghi capelli biondi, fradici di pioggia, scendono dritti sull’impermeabile lucido mentre lei chiude l’ombrellino scrollandolo con forza. Non c’è nessun altro in giro, solo noi due immersi letteralmente in un paesaggio a dir poco surreale. Si volta verso di me e mi sorride, sentendosi forse una compagna di sventura in mezzo a quel mare di gocce in tempesta.
- Non è possibile! - mi sento esclamare ad alta voce mentre il cuore comincia a battere all’impazzata.
- Non può essere lei, non deve essere lei! - penso confusamente mentre cerco di uscire dalla macchina.
Un’automobile, nel frattempo, sopraggiunge fermandosi all’altezza della ragazza e, con un colpo di clacson, la sollecita a salire. Mi guarda ancora per un istante prima di scomparire all’interno della vettura mentre io, come uno scemo, rimango impietrito sotto la pioggia. No, non è lei ma mio Dio come le assomiglia!
Risalgo in macchina e provo ad asciugarmi alla meno peggio i capelli mentre dall’altoparlante della radio, la conduttrice sta spiegando la scaletta della nottata: come primo argomento si parlerà delle “leggende metropolitane”, quelle storie in pratica comuni a molte città o addirittura identiche ad altre di Paesi lontani, leggende appunto che parlano case infestate da strane presenze, di tangibili segni dall’aldilà, di fantasmi. Lo sapevo, me lo sentivo che questa non era una notte qualsiasi e quella sorta di "dejà - vu” che avevo avuto poco prima n’era la conferma definitiva. Accidenti a loro!Ho impiegato anni a cercare di dimenticare quella storia e stanotte tutto ciò che accade mi costringe a riviverla.
- Anche quella notte pioveva. . . - mi sorprendo a dire ad alta voce mentre con lo sguardo cerco una cabina telefonica.
Appena la vedo, prendo la mia decisione e rapidamente la raggiungo; ha smesso di piovere ma quasi non me n’accorgo e, dopo aver infilato duecento lire nella gettoniera, compongo il numero verde della trasmissione. Mi trema la mano mentre schiaccio i tasti e devo ripetere l’operazione più volte perché continuo a sbagliare il numero. Dopo l’ennesimo tentativo riesco finalmente a prendere la linea.
- Pronto?Qui è la “Notte dei misteri”. Buona sera, qual è il suo nome e da dove ci chiama? -
M’invento sul momento un nome e rispondo un po’ incerto: - Buonasera, mi chiamo Sergio e chiamo da Sestri Levante, in provincia di Genova. Avrei una storia da raccontare che riguarda il primo argomento della trasmissione. . . non so se vi può interessare. -
La voce della telefonista è gentile, calda e questo mi fa rilassare un po’. Guardo le mie mani e cerco non riuscendoci di farle smettere di tremare.
- Rimanga in linea, la metto subito in comunicazione con la redazione. . . arrivederci. -
- Che sto facendo - pensavo –servirà a qualcosa o avrà solo l’esito di far tornare a galla le paranoie passate? -
Una voce maschile, profonda, mi strappa dai miei pensieri. - Pronto Sergio?Ciao, sono Ruggero Po. . . è la prima volta che chiami? -
- Salve Ruggero: sì, è la prima volta che chiamo anche se è dalla prima puntata che vi ascolto. Ho una storia da raccontare, una cosa che mi è capitata tanti anni fa e che non ho mai raccontato a nessuno. Cosa mi ha spinto a farlo ora?Il fatto di aver rivisto Francesca poco fa, o meglio qualcuna che le assomigliava in modo impressionante. Questa strana coincidenza tra il mio incontro e l’argomento della trasmissione mi ha spinto a prendere il telefono e a mettermi in contatto con voi. . . . Come. . . chi è Francesca? E’ la protagonista della mia storia, uno di quei racconti che rientra perfettamente in una delle categorie delle leggende metropolitane di cui avete parlato poco fa: quella degli autostoppisti fantasma. -
- Certo che c’interessa; attendi ancora un attimo in linea perché ora stiamo mandando in onda un brano musicale. Quando sarà terminato, farò una breve introduzione, ti presenterò agli ascoltatori dopo di che tu potrai raccontarci la tua storia. - Dopo qualche minuto d’attesa, sono in diretta, protagonista improvvisato della trasmissione.
- Innanzi tutto buonasera - esordisco un po’ impacciato - la storia che vorrei raccontarvi risale a qualche anno fa, precisamente al 1990. -
A quel tempo lavoravo a Genova, più precisamente in una delegazione chiamata Sturla. Tutti i giorni partivo da casa alle ore 21 circa e, in autostrada, raggiungevo il mio posto di lavoro. Tutto iniziò gli ultimi giorni d’ottobre, un giovedì per l’esattezza. Stavo avvicinandomi alla rampa che porta al casello autostradale di Chiavari: pioveva anche quel giorno e non vedevo l’ora di arrivare per rifugiarmi nella portineria della fabbrica che dovevo piantonare tutta la notte. Fu all’ultimo incrocio che la notai: stava appoggiata al pilastro della tettoia della fermata dell’autobus, sola, con il pollice alzato. Non ero intenzionato a darle un passaggio, avevo fretta e di solito non trasporto nessuno che non conosco. Passandole accanto, però, fui attratto dal suo sguardo: non chiedeva un passaggio, lo implorava. Era bagnata, molto carina e... terribilmente triste. Mi fermai qualche metro più avanti e, inserita la retromarcia, tornai indietro.
- Dove deve andare? - le chiesi sperando quasi che mi dicesse una località distante dalla mia destinazione.
- Devo arrivare a Quarto. Faccio l’infermiera alla clinica Villa Serena e stanotte sono di turno ma ho perso l’autobus e non riesco ad arrivare in stazione in tempo per prendere il treno. Se va in quella direzione, potrebbe darmi un passaggio? -
- Non c’è problema: io devo andare a Sturla e quindi sono di strada. -
Ringraziandomi ancora salì in macchina e così ripartimmo. Era davvero una bella ragazza con i capelli biondi, lunghi e, in quel momento, fradici. Continuando a ringraziarmi, cercava di bagnare il sedile il meno possibile stringendosi in uno spazio esageratamente stretto. Il viaggio proseguì tranquillo e, in quei trenta minuti che occorrevano per arrivare a destinazione, parlammo quasi esclusivamente del tempo. Giunti sul piazzale della stazione ferroviaria di Quarto, Francesca mi fece accostare al marciapiede: doveva aspettare una sua collega e con lei recarsi al lavoro. La salutai e proseguii per la mia strada. Non pensai più a lei fino al giovedì successivo quando, arrivato al solito incrocio la rividi.
- Ha di nuovo perso l’autobus?le chiesi con tono scherzoso.
- Si - mi rispose - devo proprio decidermi a cambiare orologio: questo va a carbone -
- Salga, la porto io. -
Questa volta, durante il tragitto, parlammo un po’ di noi. Le dissi che ero una guardia giurata, che lavoravo a Sturla in una portineria di una grande ditta, che avevo un bambino piccolo e un altro doveva nascere a giorni, che facevo sempre la stessa strada alla stessa ora, salvo quando ero di riposo. Da lei venni a sapere che si chiamava Francesca Corsini, che era infermiera e che lavorava in pediatria all’ospedale di Chiavari; il giovedì sera faceva il turno di notte a Villa Serena “perché i soldi, purtroppo, non bastano mai”. Chiacchierando del più e del meno arrivammo, quasi senza accorgersene, a Genova e anche quella volta si fece lasciare alla stazione di Quarto.
- Guarda che non ho nessun problema a portarti fino a destinazione: è ancora presto per me. -
- DEVO aspettare la mia amica. Lei DEVE arrivare fra poco! -
Fu il tono con cui sottolineava le parole che mi lasciò alquanto sconcertato e fu la serietà con cui lo disse che mi convinse a lasciar stare. Ora, con il senno di poi, tutto mi è chiaro ma allora pensai che forse aveva paura che io le proponessi qualche “fuori programma” poco gradito. La lasciai perciò sul marciapiede all’ingresso della stazione e, con un saluto, me ne andai.
Il giovedì successivo la trovai nuovamente al solito posto e così il giovedì seguente e quello ancora dopo. Divenne ben presto un appuntamento fisso più che un incontro casuale. Mi piaceva la sua compagnia e il modo come parlava: era allegra, spigliata, estremamente dolce e... bellissima. Non fece mai nulla per farmi capire di desiderare qualcosa di diverso da una tenera amicizia ed io ero felice che mi aspettasse ogni giovedì alla solita fermata d’autobus. Ogni volta, la calda gioia con cui mi salutava mi dava la certezza del piacere che lei provava nel fare quel viaggio insieme con me.
Per cercare di agevolarla il più possibile chiesi perfino al collega che mi sostituiva quando ero di riposo di portare Francesca in vece mia ma questi, dopo qualche tempo, mi disse di non aver mai visto nessuno nel posto da me indicato nonostante avesse atteso ogni volta parecchi minuti. Durante i cinque mesi della nostra frequentazione parlammo di tantissime cose ma l’argomento che più ricorreva era incentrato su di noi, su com’eravamo fatti dentro, i nostri dubbi, gli hobby, il lavoro. Parlammo anche di Cinzia, la fantomatica amica - collega che “doveva” sempre arrivare. Confesso che più di una volta pensai che Cinzia e Francesca fossero qualcosa di più che semplici amiche ma arrivavo sempre alla conclusione che in fondo non erano cose che mi riguardavano.
Il nostro rapporto era perfetto così com’era e non avevo intenzione di modificarlo per nessuna ragione al mondo. In questo modo passò l’autunno, l’inverno, arrivò la primavera e, con essa, anche quel maledetto 28 marzo 19991.
Era primo pomeriggio ed io mi ero appena alzato dal letto. Mio figlio Alessio giocava allegro sulla poltrona della veranda; aveva quasi quattro anni all’epoca e mentre io parlavo con sua madre lo vidi addormentarsi come solo i bambini della sua età sanno fare: di colpo. Continuando a chiacchierare con mia moglie, ad un certo punto ebbi la percezione che qualcosa non andava e, girandomi, mi accorsi che Alessio nel sonno aveva assunto una posizione potenzialmente pericolosa. Prima che però potessi fare qualcosa il bambino, movendosi, perse l’equilibrio precipitando sull’adiacente tavolino. La testa andò a sbattere violentemente contro il bordo metallico ed il volto del piccolo si trasformò ben presto in una maschera di sangue. Nonostante tamponassi la ferita alla fronte con un grosso asciugamano, una pozza rosso vermiglio cominciò ad allargarsi sul pavimento.
Senza perder tempo caricai velocemente il bimbo in macchina e lo portai al pronto soccorso dell’ospedale di Lavagna. Qui i dottori, ricucita la ferita, ne disposero il trasferimento al reparto pediatrico di Chiavari sospettando un possibile trauma cranico. Andai con mio figlio in ambulanza e, dopo averlo ricoverato e sufficientemente tranquillizzato sul fatto che sarei rimasto il più possibile accanto a lui, andai in cerca di Francesca.
In mezzo a tanta sfortuna, il poter contare sull’aiuto di un’amica era per me un gran sollievo: le avrei chiesto di star vicino a mio figlio il più possibile in modo da rendere meno traumatica la sua permanenza in quella struttura. Fermai la prima infermiera che incontrai.
- Mi scusi, Francesca è di turno adesso? -
La signorina mi guardò perplessa ed io allora ripetei:
- Francesca, Francesca Corsini, la sua collega, è in servizio oggi? -
- Mi dispiace ma non la conosco. Posso provare a chiedere alla mia collega: sa, io sono qui da poco e probabilmente abbiamo turni differenti. Attenda un attimo che vado a chiedere. -
Mi misi in un angolo alquanto irritato per il contrattempo. Per una volta che avevo bisogno di un favore…I nervi stavano lentamente cedendo alla tensione delle ultime ore e mi sentivo stanco, come svuotato. Fu in quello stato d’animo che l’altra infermiera mi trovò. Stava in piedi davanti a me sbigottita ed io non riuscivo a capire che c’era di strano in un padre preoccupato per il proprio figlio.
- E’ lei che cerca Francesca Corsini? -
- Si, sono io. Ho bisogno di un favore poiché hanno appena ricoverato mio figlio. C’è qualche motivo per cui non posso vedere la sua collega o almeno sapere se è in servizio? -
- Per cortesia si calmi! Non ho ancora capito se lei sta scherzando o cosa! -
- Senta - dissi spazientito - hanno appena medicato il mio bambino cucendogli una ferita in cui quasi ci entrava la mia mano; le sembro nello stato d’animo giusto per mettermi a scherzare con lei?Ho solo chiesto una semplice informazione: Francesca Corsini, alta pressappoco così, capelli lunghi biondi, infermiera in questo reparto, oggi è di turno oppure no?Guardai il viso della mia interlocutrice e notai subito che era mortalmente pallida.
- L’infermiera Corsini non lavora più qui - mi disse la donna con voce gelida.
- E’in un altro reparto? - chiesi cominciando ad intuire che qualcosa non quadrava.
- No! Non lavora più da nessuna parte perché Francesca è morta in un incidente stradale quattro anni fa. -
Le gambe mi cedettero all’istante e mi ritrovai nuovamente seduto. - Non è possibile! - balbettai - forse non stiamo parlando della stessa persona; l’infermiera che intendo io è viva: l’ho vista l’ultima volta giovedì scorso, tre giorni fa, quando l’ho accompagnata a Genova, al lavoro. - Guardai in faccia l’infermiera e mi accorsi che aveva gli occhi pieni di lacrime.
- Francesca era una cara amica; abbiamo fatto insieme il corso d’infermiere professionali all’ospedale Galliera di Genova. Ho preso io il suo posto in reparto dopo la disgrazia. . . Venga, mi segua. -
Mentre camminavo intontito, un solo pensiero continuava a martellarmi il cervello: questa donna si sbagliava, non parlavamo della stessa persona. Francesca la conoscevo bene!Ci eravamo visti tutti i giovedì in questi ultimi cinque mesi e quindi non poteva essere morta quattro anni prima. Era strano però trovare un’omonima nello stesso reparto che per di più aveva le identiche caratteristiche fisiche. Mentre ancora cercavo una spiegazione logica, l’infermiera mi fece entrare nello spogliatoio del personale. Non c’era nessuno in quel momento e, dopo avermi fatto cenno di aspettare, si mise a trafficare con il lucchetto di un armadietto. Aperto lo stipetto estrasse da sotto una pila d’indumenti, un piccolo album fotografico e me lo porse. Erano le foto dell’ultimo anno del corso infermieri che aveva frequentato; c’erano immagini di tutta la classe al completo, primi piani di compagni e compagne e poi gruppi più ristretti d’amiche più intime. Mi soffermai lungamente a guardare una di queste: tre ragazze sorridenti si tenevano per mano mostrando orgogliose i loro diplomi.
- Questa sono io e quest’altra si chiamava Guglielmi. La persona al centro la riconosce? -
- E’ Francesca - risposi con un filo di voce. Mi girava la testa e non riuscivo a capire più niente. Mi voltai verso la mia accompagnatrice per avere delle risposte e lei, con il volto solcato di lacrime mi raccontò com’era accaduto.
- Quattro anni fa avrebbero dovuto coprire il turno di notte alla clinica Villa Serena di Quarto. Erano soldi extra che facevano molto comodo a quei tempi. Francesca aspettava la Guglielmi sul marciapiede vicino all’entrata della stazione: l’aveva vista attraversare le strisce pedonali e stava andandole incontro quando un auto pirata le falciò entrambe. Francesca morì sul colpo mentre l’altra spirò qualche ora dopo -
-. . . Cinzia; si chiamava Cinzia la sua amica? - chiesi tremando.
- Si, la Guglielmi si chiamava Cinzia di nome ma lei come. . . -
Ora anch’io piangevo e singhiozzando le raccontai l’intera storia.
Nessun suono esce ora dalla radio: solo un sospiro di chi per un lungo periodo ha trattenuto il fiato. Calde lacrime mi scorrono sul viso e non posso far nulla per trattenerle. E’ lo stesso Ruggero Po che rompe questo angoscioso silenzio.
- Sergio, io non so che dire. Qui in redazione siamo stati tutti ad ascoltarti, rapiti dalle tue parole; qualcuno di noi ha perfino gli occhi lucidi. Spero che ti abbia fatto bene raccontare la tua storia a tutti noi ed agli amici che in questo momento ci stanno ascoltando Da parte mia ti auguro una buona nottata, ringraziandoti ancora per il contributo che hai voluto dare alla trasmissione.
Continua a piovere ed ho ancora tante cose da fare. Avevo ragione: questa è proprio una strana nottata. Salgo in macchina e riparto nella notte.

Edited by Mariodm93 - 1/8/2011, 15:20
 
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Nauthiz7
view post Posted on 13/7/2011, 18:22




Che peccato, così ben scritto, strutturato, con il ritmo giusto e... prevedibile. Non è colpa dell'autore, è che queste storie ce le hanno raccontate da quando eravamo bambini e ancora se ne sentono (e se ne vedono in video fake su youtube). Si legge e dopo due righe si presume già di sapere come finisce e non si rimane stupiti: la fine è proprio quella. Difetti non ne ha, ma non aggiunge nulla, non regala particolari emozioni e, ripeto, non perchè l'autore non sia bravo, è che ormai noi lettori siamo esigenti, un po' viziati, e pretendiamo qualcosa in più, qualcosa di nuovo (autore non ti offendere: te lo sta scrivendo una a cui viene spesso detto che i temi che tratta sono triti e ritriti, ma io spesso mi ostino, sbagliando e non sperimentando). Sì lo so guardo la pagliuzza nel tuo occhio e non vedo la trave nel mio! pokey ma si sa che dare consigli è più facile che seguirli!
 
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Nonno D'acciaio
view post Posted on 14/7/2011, 21:40




PREMESSA:
Le mie critiche ai racconti vogliono essere costruttive e, se possibile, aiutare gli autori a migliorare non solo il loro scritto ma anche il loro stile. Non sono nessuno e non mi credo chissaché ma penso che un parere sincero valga più di mille opinioni false o mezze parole.


Non sono assolutamente d'accordo con Nauthiz7: la trama è una versione annacquata del tipico autostoppista fantasma a tutti ben nota che non porta niente di nuovo o originale; come può non essere colpa dell'autore se l'ha scelta lui/lei.
La caratteristica principale del racconto che mi ha colpito è la precisione dell'ambientazione che la rende più vicina al reale anche grazie ai nomi italiani (sia ringraziato il cielo se esistono ancora autori in grado di scrivere una storia tirando in ballo nomi italiani) e tutto questo è sicuramente un ottimo punto a favore.
Un'altra critica che mi sento di fare è che la sintassi è pressoché inesistente e il racconto sembra non essere stato neanche riletto: 19991??; E’ diverso da È; c'è un po' di confusione tra discorso diretto e pensieri visto che non sono differenziati ecc..
Inoltre quando si tenta di spiegare qualcosa sarebbe bene conoscere approfonditamente l'argomento, fare ricerche ecc; questo perché le "leggende metropolitane" non sono solo fantasmi, presenze o manifestazioni ma possono essere ben altro.
La narrazione sembra un po' troppo superficiale, poche emozioni vengono esplorate. Forse sarebbe stato meglio raccontare meno ma meglio.
 
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clyxxx
view post Posted on 20/7/2011, 17:53




scusate l'intromissione..ma visto che il concorso è finito mi posso permettere di farlo...credo. innanzi tutto mi presento...sono l'autore del racconto accadde una notte. ho recepito le critiche e ne sono felice perchè denota che il racconto è stato letto con attenzione.una sola precisazione: non è un racconto di fantasia ma lla cronaca abbastanza fedele di un fatto realmente accaduto.anche l'internento alla trasmissione di ruggero pò è reale e se volete documentabile.quella sera ho rccontato alla radio ciò che avevo vissuto anni prima...solo in un secondo tempo e molto tempo dopo mi sono deciso a mettere la mia esperianza per iscritto...non voglio convincere nessuno sia chiaro e a giochi chiusi era solo una doverosa precisazione a chi mi accusa di mancanza di fantasia...purtroppo ha ragione:qui di fantasia ce n'è veramente poca..grazie ancora a tutti per la pazienza Claudio Paganini
 
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Nauthiz7
view post Posted on 20/7/2011, 22:58




Ciao Claudio, non penso che il concorso sia finito... almeno credo anch'io :huh: . Leggendo giuro che l'idea che fosse la cronoca di un fatto realmente accaduto mi ha sfiorato per un attimo (perchè sei stato bravo e la tua tensione nel ricordare traspariva), ma la questione è che qui siamo chiamati a giudicare dei racconti, che come tali devono avere la prerogativa - tra le altre cose - di intrattenere, emozionare e, quando sono ottimi, portare in un altro mondo, quello del protagonista che li anima. Sono convinta che il tuo sia scritto in modo molto buono, ma lo sono altrettanto del fatto che - come racconto, non come esperienza di vita realmente accaduta - sconti il dazio di essere già stato ampiamente sentito e quindi non può avere l'impatto emotivo di una storia nuova. Il discorso cambia completamente se ne parliamo come di una tua esperienza personale, ma in questa sede - concorso di racconti - si valuta anche la fantasia e la novità. Chi legge non può sapere che si tratta di una tua esperienza personale che supera la fantasia, pensa solo che sa già come va a finire... è come andare a vedere un film conoscendo a menadito la trama e le battute: non ci vai; ma se nel trailer apparisse scritto "tratto da una storia vera"... allora forse sì.
 
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Nonno D'acciaio
view post Posted on 21/7/2011, 21:42




Ciao Claudio, il concorso non è ancora finito ma chissene, siamo qui per divertirci no? E magari anche per imparare.
Anche io come Nauthiz ho avuto, e l'ho scritto nel commento, la sensazione di un ambientazione reale e quasi tangibile durante la narrazione e questo è sicuramente un punto a tuo favore perché hai saputo ricreare la nitidezza di quei momenti. Purtroppo il tuo unico sbaglio è stato forse vole racchiudere la tua storia nel poco spazio che era permesso dal bando, per il resto non siamo scrittori e abbiamo tutti quanti margini di miglioramento.

Per quanto riguarda invece il fatto che sia una storia reale non sei la prima persona che mi racconta la sua esperienza riguardo un fatto del genere e sono a conoscenza di storie del paranormale anche ben peggiori, realmente accadute e di veridicità che posso confermare. Quindi, se questo ti può consolare, non ho il minimo dubbio che la tua esperienza corrisponda al vero. Anzi, ora che mi ci fai pensare, avevo cominciato a riportare tutto su carta molti anni fa e tutto ciò mi porta a tirar fuori ancora quelle storie. Quindi Grazie Claudio! :D
 
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Nauthiz7
view post Posted on 22/7/2011, 13:51




Ma perchè tenerle chiuse in un cassetto, dico io yikes nono2
 
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Nonno D'acciaio
view post Posted on 22/7/2011, 14:32




Perché le ho abbozzate più di dieci anni fa e non li ho mai finiti :) Se mi dai vitto e alloggio per un anno li finisco senza problemi ahahah :D
 
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Nauthiz7
view post Posted on 22/7/2011, 17:20




Nonno, se mi lasci 10 commenti super positivi e altrettanti voti, anche due anni! Ah no... mi hai già massacrato... sorry sniper
 
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Mariodm93
view post Posted on 22/7/2011, 17:35




Credo che la colpa sia mia, visto che nell'avviso pubblicato in calce a ogni racconto ho sbagliato a digitare la data di chiusura del concorso, scrivendo "1 luglio" invece di "1 agosto".
Tuttavia il regolamento parla chiaro: il concorso avrà termine il 31 luglio e il vincitore sarà eletto il 1 agosto.

Comunque ormai la frittata è fatta e l'autore è stato svelato. D'altra parte, invito gli altri autori a non rivelare il proprio nome fino alla fine del concorso.
Quando il concorso sarà chiuso gli autori che lo desiderano potranno richiedere la cancellazione del loro racconto da questo forum, inviando una e-mail a [email protected] I racconti in questione saranno rimossi dal forum il prima possibile (non subito: considerando che saremo in agosto, be'... sarò in vacanza e con scarse possibilità di accesso a internet :P)

Buon proseguimento!
 
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Nonno D'acciaio
view post Posted on 22/7/2011, 20:03




CITAZIONE (Nauthiz7 @ 22/7/2011, 18:20) 
Nonno, se mi lasci 10 commenti super positivi e altrettanti voti, anche due anni! Ah no... mi hai già massacrato... sorry sniper

:cry: :lol: :cry: :lol: :cry:
 
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Cronos79
view post Posted on 22/7/2011, 23:51




mi piace come è scritto.
complimenti
 
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Deborah76
view post Posted on 23/7/2011, 09:12




Prima di commentare, vorrei fare una breve premessa (che per amor di uguaglianza replicherò in tutti gli altri commenti): leggerò tutti i racconti, e uno per volta li commenterò. La mia è solo un'opinione scanzonata senza pretese tecniche, nel rispetto dell'autore/autrice. Scrivere è mettere in luce un po' di noi stessi, perciò: un applauso a tutti!

Ok... tralasciando il disguido e il commento dell'autore, il racconto mi è piaciuto. Scontato, vero, ma a parte qualche minima imprecisione, l'ho trovato emozionante e ben scritto. Forse in un racconto più lungo o in un romanzo breve, o magari, perché no, all'interno di una raccolta di racconti noir e paranormal, ci starebbe benissimo. Ottimi ritmo e narrazione. E poi... tirateli fuori 'sti racconti dai cassetti! ^^
 
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Angela1993
view post Posted on 29/7/2011, 11:15




Visto che sulla questione dell'originalità è stato già chiarito tutto non entro ulteriormente nel merito. Il vero problema, a questo punto, è che il racconto mi sembra poco approfondito, superficiale direi. Non mi permetto di giudicare l'esperienza personale dell'autore, ci mancherebbe, però se viene presentata come racconto... qualcosa di più deve esserci. Nella prima parte va bene, ma quando arriva il momento della telefonata, inevitabilmente la narrazione comincia ad essere più superficiale, sia per i limiti di spazio del concorso, sia per i limiti di tempo della telefonata che non sarà durata più di qualche minuto... per questo, come diceva Nonno D'acciaio, credo che sia sempre meglio raccontare meno, ma in modo più preciso, e questo vale anche per altri racconti che hanno partecipato...
Volendo raccontare per bene l'intera esperienza ci vorrebbe molto più spazio!
E per concludere mi unisco al coro: fuori i racconti! :D
 
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13 replies since 30/6/2011, 23:30   202 views
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